L’America dei cowboys era l’America del whisky and soda: alcol quanto basta per mostrarsi uomini duri, ma generosamente allungato con acqua frizzante.
Molto abbaiare, poco mordere.
In Europa si bevono grappa, brandy, cognac, e chi beve birra lo fa alla giusta gradazione. E quando invece è whisky, è di quello vero. Di una varietà ed una qualità tale da poter dire che, nel vecchio Continente, da quel che c’è nel bicchiere è facile tratteggiare il particolare carattere di chi lo beve.
Il whisky and soda ricorda invece le pistole di quei cowboys ubriachi che, su cento colpi, novantanove eran sparati in aria. Giusto per far cagnara. Come quando, a Capodanno, chi è nato ai piedi del Vesuvio si diverte scaramanticamente a sfidarlo sparando per aria tutto quel che c’è di sparabile. E pazienza se anche in quelle occasioni, come in Texas o in Arizona, qualche volta ci scappa il morto.
Il whisky and soda è una metafora dell’America. Due opposti contrari destinati a confliggere insieme in un solo vaso. Quando la soda riesce ad aver la meglio, nasce la Coca Cola (se va bene); oppure il proibizionismo (quando l’acqua trionfa!).
Quando vince l’alcol, il solo fatto di ritrovarsi maggioranza non basta a farne un passabile whisky.
Tentar di comprendere l’America, quella dei Biden o degli Obama, ma anche quella dei Trump e dei Vance, significa saper valutare quanto whisky e quant’acqua fresca convivano in un determinato momento nel medesimo bicchiere.
Che la gazzosa abbia recentemente avuto il sopravvento, nelle più nauseanti espressioni del politicamente corretto e del woke, sta sotto gli occhi di tutti. Anche di chi, come gli Europei, di quel fenomeno han conosciuto appena una sbiadita immagine, senza dover assistere ad abbattimenti di statue, rivolte di piazza, nascita di ingiustificati privilegi.
Che la prevedibile reazione sia stata quella di svuotare il bicchiere dall’acqua e riempirlo fino all’orlo di whisky, è altrettanto comprensibile.
Purtroppo per i reazionari, la presenza di tanto prodotto allo stato puro, non corretto da altri liquidi, ha reso ancor più evidente a chiunque l’infima qualità di quel che al momento occupa l’intero contenitore.
Da lì ad aizzare il volgo contro le cosiddette élites europee (a cui non mancano ottimi gin, scotch e champagne) e sudamericane (rum e tequila!) il passo è stato breve.
Nell’incredulità generale degli (ex) alleati, J.D. Vance ha inaspettatamente consegnato all’Unione Europea, in occasione della Conferenza di Monaco, un’informale dichiarazione di guerra – ma pur sempre guerra – a cui i Paesi Europei hanno immediatamente reagito rappacificandosi con Londra (minacciata anch’essa nei territori del Canada) e confermando l’appoggio all’avamposto ucraino lungo il confine con la Russia, nuovo sanguinario alleato degli Stati Uniti d'America: pessimo miscuglio di un (pessimo) whisky e di una (pessima) vodka. Brindando con il quale, il mandriano americano e il fuorilegge russo pretenderebbero di ubriacare il mondo.
Eh no. Né i grandi vini, né i grandi liquori si improvvisano. E neppure si estraggono come il gas o il petrolio dalle viscere della terra. Tra i loro ingredienti non mancano i secoli di Storia, che ogni buon sommelier sa riconoscere e gustare.
Trump e Putin possono accerchiare l’Europa e stringerla a tenaglia, possono anche smembrarla – come han fatto in passato –, possono incendiarla e affamarla. Ma non riusciranno a convincere un Europeo che la vita di un Russo o di un Americano, così come quel che quotidianamente vien dato loro a bere, sia migliore della sua. O che che gli Europei, memori delle tragedie vissute, solo per il fatto di aver momentaneamente deposto le armi abbian per questo scordato come si imbraccino o si impugnino. Se e quando necessario.
Gli Europei tengono in cucina la birra o il vino. I superalcolici li custodiscono in salotto, nel mobile-bar, per tirali fuori solo nelle occasioni più importanti. Ma quando ciò raramente accade, è sicuro che mai e poi mai si sognerebbero di annacquarli.
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