Nessuno è legittimato a criticare il modo in cui una persona si veste o si pettina, ma se quella dovesse presentarsi a un ricevimento di nozze in ciabatte e bermuda, chiunque avrebbe pieno diritto di storcere il naso.
Dopodiché la palla passerebbe al ciabattato, il quale potrebbe: a) abbandonare il ricevimento; b) insistere nel proprio comportamento, sicuro com’è che l’abbigliamento inappropriato sia quello degli altri, non certo il suo.
È un reato penale scordarsi la cravatta a casa? No. Non lo è neppure presentarsi in jeans in un’aula parlamentare, o in chiesa con scollature ombelicali, o in barca con scarponi da montagna, o sul campo da golf senza colletto.
Non è un reato penale. Si tratta di pura e semplice maleducazione, aggravata da un’ostentato disprezzo per il prossimo, prima ancora che per le regole. Peggio ancora se esibito da persone che sarebbero le prime ad inalberarsi se, giusto a caso, un bagnante pretendesse di prendere il sole nudo in un elegante stabilimento balneare che nudista non è.
Colta in fallo, la persona educata si scusa ed ammette d’aver sbagliato, conquistandosi un sorriso e qualche consiglio su come rimediare. Quella maleducata assume una posa indignata ed alza la voce, alla ricerca di altri quacquaracquà insofferenti alla cravatta e pronti a schierarsi dalla sua parte. Omuncoli che, in tal modo, seppur ripuliti e rivestiti per l’occasione finiscono col venire allo scoperto. Mostrandosi per quel che veramente sono e guastando la festa. Perché di guastafeste, e non d’altro, dopotutto si tratta.
Suprema manifestazione di stupidità. Perché se il loro scopo era quello di partecipare a pieno titolo al ricevimento al quale erano state peraltro invitati, quale guadagno ottengono col rovinarlo?
Capricci del genere non meriterebbero altro inchiostro. Eppure non son pochi i giornali che, di questi giorni, ne vanno sversando più che fiumi nel mare. In difesa dell’indifendibile, alla ricerca di un nemico purchessia, incapaci come sono di distinguere un tentato omicidio da un riuscito suicidio.
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