La grande trovata che sta alla base del metaverso è racchiusa in una semplice domanda: è meglio vivere una triste e squallida vita reale o una gioiosa e splendida vita virtuale?
La fine dell'età industriale in Occidente ha messo sulla strada centinaia di milioni di occupati a formazione zero, addetti in fabbrica alle lavorazioni più semplici, dall’avvitare bulloni al verniciare una sedia. Lavoratori generici non impiegabili altrove, solo in parte assorbiti da un terziario sottogarantito composto per lo più da magazzinieri, commessi, lavapiatti, fattorini. I cui salari e stipendi, peraltro commisurati alle scarse competenze e capacità, son quasi sempre insufficienti per condurre un'esistenza dignitosa, soprattutto in quelle aree urbane dove il costo della vita è inaccessibile ai più.
Costretto a vivere in periferie lontane e malservite, con scarsa capacità di spesa e poco interessato a investire tempo e denaro per migliorare la propria formazione, un numero crescente di persone resta di fatto emarginato da tutto quel che di buono la vita reale ha da offrire, e trova rifugio nelle tossicodipendenze, nell'alcoolismo, nel mondo illusorio della rete: tre diverse scelte per lasciarsi alle spalle quella realtà inavvicinabile dalla quale ci si sente esclusi.
I cacciatori di fessi, che ben sanno come trasformare l'altrui malessere in personale benessere, han presto ideato il modo per offrire una meravigliosa finta vita a chiunque non possa permettersi una meravigliosa vita vera. E guadagnarci sopra.
Leader planetario dell'intera operazione è il fondatore di Facebook, Mark Zuckemberg, che non a caso ha appena mutato il marchio aziendale in «Meta». Grande promotore del metaverso in Italia è invece Beppe Grillo, che qualche esperienza nel settore in effetti ce l'ha (la caccia al fesso, s'intende).
Il metaverso altro non è che un'evoluzione della rete che intende riunire in una sola realtà virtuale tutte quelle operazioni che già quotidianamente facciamo sul web: incontrarsi e conversare sui social, fare acquisti, leggere notizie, ascoltare musica, guardare un film, spedire una lettera, programmare un viaggio...
Intorno a tutto ciò sarà costruita una cornice virtuale del tutto simile al mondo reale. Attraverso lo schermo del computer, dello smartphone, della smart-tv o del visore 3D, ciascuno di noi si muoverà in quello spazio immaginario vestendo i panni dell'avatar che si sarà scelto. L'avatar passeggerà per strada come nella vita reale, o in auto, o in bici, o su un mezzo pubblico. Si fermerà all'edicola per acquistare il giornale, entrerà nei negozi per far compere, andrà al cinema o a un concerto, seguirà un corso di lingue o si recherà dal medico per un consulto. Potrà persino entrare in una palestra o in un centro estetico, per migliorare l'aspetto del proprio avatar. E potrà concedersi incredibili avventure: da un viaggio in mongolfiera a un'escursione nella giungla a una lunga crociera sui mari.Ovviamente dovrà pagar qualcosa per tutti questi servizi, e potrà farlo – come già adesso fa – attraverso la sua banca (virtuale). Ma il metaverso consentirà comunque ai suoi frequentatori di vivere una vita decisamente brillante a un costo assai inferiore rispetto alla vita reale
Non posso permettermi la borsa da trecentomila euro che l'influencer di turno sfoggia ogni giorno in rete per andare a far la spesa? Nessun problema: una boutique (virtuale) mi venderà la medesima borsa Hermes (virtuale) per soli cinquanta euro: il mio avatar sarà orgoglioso di portarla suscitando l'invidia degli altri avatar, e la boutique che l'ha venduta dovrà pagare l'affitto del negozio (virtuale), la pubblicità e i servizi di banca, oppure acquistare un «terreno» (virtuale) sul quale «costruire» la propria bottega.
Ma sui quei «terreni» – in realtà ultraterreni – sarà anche possibile costruire o acquistare case, palazzi e condomini, che poi ciascun avatar arrederà a proprio piacimento (e pagamento) così da poter ricevere gli avatar amici in un luogo elegante ed accogliente, non privo di quadri alle pareti comprati con gli NFT (titoli virtuali di proprietà di una quota di un'opera d'arte).
Netflix avrà l'aspetto di una vera sala cinematografica, con tanto di biglietteria e maschera all'ingresso. Si potrà guardare un film e commentarlo all'uscita con gli altri avatar presenti (e paganti).
Perché non concedersi poi una bella cenetta, entrando nel ristorante preferito e ordinando quei piatti che ci saranno poi recapitati a casa dal rider di turno?
Un viaggio o una crociera costeranno cento volte meno che nella vita reale. Sarà sufficiente una capatina in agenzia (virtuale) per proiettarsi sui materassi delle più belle suites di irraggiungibili hotel da sogno, o farsi nuovi amici in spiaggia o a bordo piscina, visitando Paesi e città altrimenti sconosciuti. Ma anche acquistare pacchetti vacanze per meno pretenziosi viaggi reali.
E se capiterà di desiderare un’auto da favola, nessun problema: sarà sufficiente recarsi in una concessionaria (virtuale) per uscirne al volante di una Ferrari o una bella Maserati (virtuale), alleggeriti di un centinaio di euro (reali) ma pronti ad accendere di invidia (reale) gli avatar appiedati o, peggio ancora, appandizzati.
E qui ci fermiamo. Prima che qualche avatar decida di varcar la soglia di un'armeria (virtuale), acquistare un revolver (virtuale) e togliersi la vita (virtuale). Ponendo così fine ai profitti (reali) a chi ha avuto il fiuto, la fantasia e l’astuzia di inventarsi una simile cialtroneria legalizzata: l'equivalente, in versione terzo millennio, dei farmaci placebo (acqua e zucchero) che gli imbonitori spacciavano un tempo in piazza e nelle fiere quale sicuro rimedio per tutti i mali.
Svelato l’inganno, resta tuttavia in piedi la domanda iniziale, la sola che tiene in piedi l'erigendo tendone del gigantesco circo del metaverso: è meglio vivere una triste e squallida vita reale o una gioiosa e splendida vita virtuale?
Cari umani, date retta a noi pennuti, che virtuali lo siamo da un pezzo: nessuna vita reale può esser triste e squallida, se ci si dà da fare affinché essa non lo sia. Migliaia di esistenze appaiono squallide solo a chi le osserva dall'esterno: l’ascetica esistenza del monaco nella sua cella, lo studioso chino al microscopio, lo scienziato prigioniero nel capanno di lamiera in Antartide, la mente affaticata dello scrittore in lotta con la pagina bianca, l'affanno del navigante nella tempesta, la solitudine del guardiano del faro. E squallida può sembrare la vita della cassiera al supermercato, del guidatore d'autobus, del guardiano notturno, del cameriere, del fornaio, se ci si limita a osservarle in superficie. Ma ciascuna di esse ha in sé uno scopo, un obiettivo, una sfida, una meta. Che consola nei momenti bui e regala qualche attimo di felicità. Perché è la vita ad imitare il teatro, e non viceversa: la scelta di un copione, mesi e mesi di prove, due ore di palcoscenico, e tutto per pochi minuti di applausi. Neppure così sicuri, ma sufficienti a giustificare qualsiasi precedente fatica.
Quel che è invece assolutamente certo è che nessuna finta vita virtuale potrà mai essere «veramente» gioiosa e splendida. Se non altro per l’indiscutibile fatto che vera non lo è. Nel migliore dei casi una finta vita virtuale non sarò altro che un gioioso e splendido sogno, di quelli con cui l'umanità si consola sin dai tempi delle caverne, destinato a svanire dalla mente come qualsiasi altro sogno. Non una valida alternativa all'esistenza reale, ma la sua momentanea sospensione. Un trip d'altro genere, ma non così diverso da una siringa in vena o da una bottiglia svuotata, presto destinato a evaporare nel brusco risveglio alla vita reale. Ora sì, divenuta triste e squallida. Ma proprio per il fatto di non esser mai stata pienamente vissuta.
Chi crede che debbano esser gli oggetti a servire gli umani, e non viceversa, non baderà alle vecchie scarpe sulle quali cammina, ma a quel che vedrà e incontrerà intorno a sé durante il suo percorso.
Chi pensa invece che spetti agli umani servire gli oggetti, preferirà fingere di camminare su strade finte con finte scarpe (di gran marca) ai piedi. Fermamente convinto che le scarpe non siano state inventate per camminare («these boots are made for walking», suggeriva lapalissianamente un vecchio inno hyppie) ma per essere ammirate. E pazienza se neppure veramente esistono, se non sullo schermo che ce le mostra (e ce le vende) e nella piccola mente di chi se la beve (e se le compra). Virtualmente.
Se fate parte di questa seconda categoria, il metaverso (virtuale) appartiene a voi. Ma sappiate che una piccola fetta (reale) del vostro denaro finirà per appartenere a qualcun altro.
Se invece vi riconoscete nella prima, perché accontentarsi di un metà verso? Portate una mano alla bocca e il verso (anzi: il versaccio) fatelo per intero, alla maniera di Totò e Peppino.
Indipendentemente dall’idioma, chi lo riceverà capirà.
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