Passa ai contenuti principali

Post

E le sabbie stanno a guardare...

Nato in terra d’Israele da padre americano (Donald Trump) e madre arabo-saudita (Mohammad Bin Salman), l’attacco al malguidato Iran di Alī Ḥoseynī Khāmeneī è un insidioso sentiero obbligato tra le pareti di un canyon non dissimile dai tanti che la Storia ama sparpagliare lungo i secoli.  Chiunque può intravederne i pericoli, nessuno può ignorare la stringente necessità di attraversarlo. Al più breve e con il minor danno possibile.  Se Satana mostra di preferire la bomba all’idrogeno al biblico forcone, il dovere dei buoni è quello di fermarlo, scontrandosi con quei malvagi intenti invece a proteggerlo. Visto dall’Italia, l’Iran non è che un Paese produttore di petrolio – risorsa destinata prima o poi ad esaurirsi – dove un manipolo di terroristi armati scalzò a suo tempo dal trono lo scià di Persia (1979) per poi spartirsi tra compari il ricco bottino, innestando in tutto il Paese una possente marcia indietro in direzione dell’alto medioevo. Come in ogni dittatura armata, anc...

Tanto abbaiare, poco mordere

Il format dell’ultimo decreto sicurezza dello scorso 4 Maggio (D.L. 48/2025), varato dal Governo calpestando le teste (avendocene) di un Parlamento a cui è ancora concesso parlare ma non legiferare, è quello del famigerato decreto rave : ci si inventa un nemico che non c’è – meglio se con un bel nome straniero – e quindi, anziché combatterlo con le leggi che da tempo esistono (occupazione di suolo pubblico, invasione di proprietà privata, rumori molesti, mancato rispetto delle norme di sicurezza, spaccio di stupefacenti, commercio abusivo...) ci si inventa una norma punitiva specifica. Tanto altisonante quanto di fatto inapplicabile. Anche perché, se realmente esistesse una qualche volontà di applicare la legge, quel compito spetterebbe al potere esecutivo (il Governo), che però se ne guarda bene, impegnato com’è ad annacquare o a cancellare quelle altre norme che già esistono ma disturbano mafie, ladri, spie, profittatori, evasori.  Come già accadde per il rave , molte delle moti...

Tu «quorum», fili mi!

Si chiama referendum , ma non è un re. Non può scrivere nuove leggi scavalcando il Parlamento, prima espressione della sovranità popolare. Può solo cancellarle. Ma per far ciò è giusto che a decidere sia una maggioranza altrettanto rappresentativa di quella che tali leggi ha deliberato.  È giusto, pertanto, che esista un quorum . E che sia percentualmente fissato nella maggioranza degli aventi diritto.  Quel che stupisce, a pochi giorni dalla consultazione referendaria del 9 Giugno, è che materia del contendere non è a tutt’oggi l’opportunità di contraddire o meno l’operato dei precedenti Parlamenti, depennando dai codici cinque delle normative attualmente vigenti, ma l’opportunità o meno che un quorum esista, e che esista nella misura determinata dalla Costituzione.  Da una parte come dall’altra, mai come in questa occasione emerge l’infima qualità della classe politica generata dai ripetuti rosatellum .  I favorevoli al mantenimento delle leggi tentano di piegarne...

Demolition Man

Qualcuno dovrà pur chiederselo, in un auspicabilmente prossimo domani, come tutto ciò sia stato possibile.  Come sia potuto accadere che un palazzinaro poco alfabetizzato nato alla periferia di New York, dopo una sconsiderata vita fatta di azzardi, brutte amicizie, fallimenti, sopraffazioni e crimini, abbia potuto così facilmente impadronirsi della Casa Bianca e farne un centro di malaffare tempio del kitsch , a misura d’un piccolo padrino di quartiere, di un qualsiasi Casamonica.  Ma tant’è: questa è l’America, bellezza.  L’Italia, però, America non lo è; l’Europa ancor meno. E non può esser costretta a sottostare alle provocazioni e alle truffe che la cosca della Casa Bianca un giorno sì e uno no ordisce ai suoi (ed altrui) danni.  È vero che per fare un furbo occorrono mille fessi. Ma stavolta (miracolo del web ?) i fessi sembrano esser diventati miliardi!  Non soltanto chi compra l’orologio cinese da 3 dollari pagandolo 499 perché sul quadrante c’è scritto «...

Trogloditi

Il sostanziale fallimento dell’ultimo abboccamento telefonico fra Trump e Putin, ciascuno saldamente inchiodato sulle proprie (ed altrui) posizioni, ha ulteriormente evidenziato la persistente simpatia che reciprocamente attrae i due anziani capimafia.  Cosa possono avere in comune due individui apparentemente tanto dissimili come un palazzinaro arricchito delle periferie newyorchese ed una spia russa dalle mani sporche di (molto) sangue, a capo di una nazione tanto vasta quanto spopolata e arretrata? Certo vi è la condivisa passione per gli intrighi di corte e per l’altrui sopraffazione: il mancato colpo di Stato di Trump ed i molti, riusciti, di Putin; il you’re-fired di Trump (sei licenziato), che Putin traduce con un «sei bruciato», ma per davvero, col lanciafiamme.  Trump ambirebbe essere un pelino più crudele di quanto già lo sia, almeno quanto Putin. Putin un pelino più presentabile, almeno quanto Trump. Ma quando si guardano negli occhi, si scoprono entrambi servi del...

Brutta bestia...

Brutta bestia, la vecchiaia. Bella, talvolta. Sapendola indossare.  Ciascuno di noi, nell’ultimo tratto della propria vita, restituisce al mondo buona parte di quanto ha ricevuto nel primo. Chi ha avuto amore restituisce amore; chi ha raccolto denaro lo redistribuisce: chi in beneficenza, chi sperperandolo; chi ha accumulato sapere ed esperienza dispensa saggezza; chi si è impegnato negli studi, produce scienza. Ma chi dalla vita altro non ha avuto che calci e schiaffi, non può che restituire calci e schiaffi. E diventa, senza accorgersene, uno di quei vecchi rancorosi e inaccostabili,  nemici del mondo intero e di chiunque vi abiti. Quasi sian stati gli altri a sottrargli qualcosa e non egli stesso a rinunciare a prendersela, intento com’era a non trascurare alcuno dei sette vizi capitali: superbia, avarizia, invidia, ira, lussuria, gola, accidia. Impegnato a consumare gli ultimi suoi anni nell’impossibile ricerca di un colpevole a cui addebitare la responsabilità dei propri ...

Quietamente, il Leone ruggisca

Eleggere un nuovo Papa è un po’ come scegliere un nuovo presentatore per uno show televisivo di successo: spetta a lui dimostrare d’essere all’altezza del compito, e non viceversa. Tanta è la forza dello spettacolo, in scena da due millenni. E il nuovo conduttore dovrà necessariamente coniugare tradizione e novità, passato e presente, vecchio e nuovo pubblico. Con un lungimirante sguardo al futuro.  Papa Leone XIV parte bene. Col nome giusto per azzannare là dove serve il Pannocchia e i suoi sodali, giocandosela in casa (bianca). Terzomondista quanto basta per mantener vivo l’afflato bergogliano in difesa dei deboli, colto e sapiente come ci si attende da un emulo di Agostino d’Ippona. Difficile accusarlo di «non avere le carte».  Possibile che spetti stavolta a un discendente di Pietro, e non ad un laico, il compito storico di rabberciare un Occidente ancora una volta proteso sul baratro della follia, coi tanti feroci nemici – all’esterno e ancor più all’interno – pronti a s...