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Trogloditi

Il sostanziale fallimento dell’ultimo abboccamento telefonico fra Trump e Putin, ciascuno saldamente inchiodato sulle proprie (ed altrui) posizioni, ha ulteriormente evidenziato la persistente simpatia che reciprocamente attrae i due anziani capimafia. 

Cosa possono avere in comune due individui apparentemente tanto dissimili come un palazzinaro arricchito delle periferie newyorchese ed una spia russa dalle mani sporche di (molto) sangue, a capo di una nazione tanto vasta quanto spopolata e arretrata?

Certo vi è la condivisa passione per gli intrighi di corte e per l’altrui sopraffazione: il mancato colpo di Stato di Trump ed i molti, riusciti, di Putin; il you’re-fired di Trump (sei licenziato), che Putin traduce con un «sei bruciato», ma per davvero, col lanciafiamme. 

Trump ambirebbe essere un pelino più crudele di quanto già lo sia, almeno quanto Putin. Putin un pelino più presentabile, almeno quanto Trump. Ma quando si guardano negli occhi, si scoprono entrambi servi del medesimo padrone: Satanasso, in una delle più riuscite raffigurazioni. 

C’è tuttavia un tratto più terreno del loro carattere che profondamente li accomuna: sono entrambi due uomini del paleolitico. Due trogloditi. Due esseri primitivi rimasti inchiodati ai tempi della clava e del baratto. 

Il baratto è la sola elementare nozione di economia che Trump mostra di conoscere: non c’è nulla che non possa esser scambiato con qualcos’altro, possibilmente a proprio vantaggio. Dalle merci alle idee, per non parlar delle amicizie. 

Purtroppo per lui e per i suoi amministrati, il baratto non ha mai generato alcuna crescita o progresso: scambiarsi i beni non significa produrne di nuovi, ma solo tentar d’accaparrarsi quelli che già esistono: che non nascono dalla mano dell’uomo, ma son quelli presenti in natura: frutti, piante e legname da raccogliere, animali da cacciare. Un mondo dove la ricchezza è legata alle disponibilità del territorio, dove il solo mezzo per arricchirsi è acquisire nuove terre, o sottrarre il raccolto a quanti faticano per raccoglierlo. Con la violenza e con le guerre. Con la clava. 

Anche Putin agisce come un troglodita, perché è alla testa di un popolo primitivo che non produce neppure le scarpe sulle quali cammina, ma vive di caccia e di raccolta. Con la particolarità che, invece di bacche e radici, raccoglie oro, diamanti, gas, petrolio, uranio, su un territorio che è il più vasto al mondo e con poca gente a spartirsi il bottino: una corte di vassalli (gli oligarchi) che approvvigionano Mosca di ogni genere di prodotti acquistati all’estero, guadagnandoci. 

Fra trogloditi ci si intende. Pur esprimendosi a grugniti, il concetto del baratto è sempre il medesimo: io do a te una cosa che a me non serve più, ma forse per te ancora utile, tu me ne dai un’altra che più non usi, ma che a me piace tantissimo. 

Teoricamente parlando, uno scambio in grado di render felici entrambi i contraenti. Realisticamente osservando, uno scambio che nulla cambia perché nulla produce, e non fa avanzare di un solo centimetro il mondo. In sostanza, la negazione stessa del Progresso: solo vero motore dell’umanità.

Ogni qual volta, nella Storia, un popolo nomade uso a vivere di quanto Natura produce è giunto a scontrarsi con un popolo stanziale, industriatosi a migliorare col lavoro il proprio territorio con la coltivazione delle terre, l’allevamento del bestiame, la trasformazione delle materie prime, quel popolo nomade ha sempre avuto la peggio. E il mondo è andato avanti. 

Gli USA di Trump che strizzano l’occhio alla Russia di Putin, osservati col metro della Storia sono un popolo deliberatamente incamminatosi verso il suicidio. A tutto vantaggio del troglodita del Cremlino e sotto gli occhi felici di una Cina che, pazientemente, attende di vederli passare entrambi dalla riva del fiume. 

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