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Parole, parole, parole...

Gli uomini di cultura arricchiscono la lingua. Gli ominicchi la impoveriscono.  Il sogno di ogni letterato è una lingua capace di manifestarsi non soltanto nella ricchezza del vocabolario e della sintassi, ma anche nell’intonazione, nella gestualità. Forse più simile alla musica o al teatro, che non al parlato.  Il sogno di ogni ignorante è, all’opposto, quello di ridurre al minimo essenziale ogni sonorità necessaria per esprimersi. Il modello a cui egli si ispira è l’asino, che con minime varianti del medesimo raglio riesce a comunicare tanto la stanchezza che la fame, il dolore come la gioia.  Ora che gli asini han trovato la via per intrufolarsi nelle stanze del potere, anche il linguaggio della politica – che ispira quello delle televisioni e dei giornali, che a loro volta alimentano quello delle masse – si è in breve tempo degradato, coniugandosi in nuovi ragli ( pardon : nuove parole) che indicano non concetti od oggetti reali e determinati, ma insiemi evanescenti d...

Panzane

Chiedi una spiegazione, arriva in risposta una panzana.  La prima? No: l’ennesima! Piccola? No: colossale! Una sola? No: tante! L’eco della vicenda Almasri non s’è ancora attenuata che già mille voci la rimbalzano, amplificandola. E la cosa curiosa è che ad attizzare il fuoco non è l’inconsistente opposizione parlamentare, ma la presidenza del Consiglio dei ministri. Quella che più dovrebbe darsi da fare per spegnerlo, piuttosto che gettar benzina nel tentativo di spostare il bersaglio dal pericoloso criminale libico in direzione di una non meglio precisata «magistratura»: termine che nel linguaggio degli opposti poteri raccoglie un po’ tutto: giudici, procuratori, cassazione, tribunali, avvocati e cancellieri, mescolando in un solo calderone le diverse competenze della Magistratura, del Parlamento, del ministro di Giustizia, degli ordini professionali, delle associazioni sindacali. L’ultima sparata – quindici minuti di teleinvettive urlate contro «alcuni giudici, fortunatamente po...

La buona musica

La Costituzione, spiegata in due righe ai ministri di fresca data: il Parlamento scrive lo spartito, il Governo lo esegue, la Magistratura fischia o applaude.  Scrivere la musica è compito del Parlamento, che in Italia si identifica con il popolo sovrano. La sola istituzione dello Stato eletta con suffragio universale.  Chiunque, s’intende, può comporre musica anche al di fuori del Parlamento: anche un bimbo che fischietta per strada. Ma spetterà comunque alle Camere il compito di stenderla in modo corretto sul pentagramma, così che qualsiasi orchestra possa fedelmente eseguirla.  L’orchestra, in Italia, è il Governo. Coi suoi ministri, ciascuno specialista del proprio strumento, e un direttore che li coordina e li armonizza.  I Governi non durano di regola più di cinque anni, le leggi restano talora invariate per secoli. Spetta all’orchestra dar vita alla partitura, animandola del gusto del tempo senza per ciò tradire le note che si susseguono sul rigo.  Se l’o...

Piccoli e neri

«Solo perché sono piccola e nera!»  È la quotidiana lagna di un Governo che, anziché tenere in ordine la casa (come popolazione chiede e Parlamento comanda), spende il proprio tempo alla ricerca di possibili e impossibili colpevoli del disordine. Scordandosi che, se anche la colpa fosse di qualcun altro, ogni responsabilità sarebbe comunque solo e soltanto sua. Per il sol fatto di aver espressamente chiesto ed accettato di assumersela.  Così, dopo giorni di frigni incrociati fra chiodi scaccia treni, giudici ferma navi ed ogni altro fantasioso nemico, stavolta nel mirino c’è finito nientepopodimenoché il medesimo presidente del Consiglio. Che sventolando in tivù un foglio erroneamente definito «avviso di garanzia» (in realtà la comunicazione di avvenuta trasmissione atti al tribunale competente: quello dei ministri) punta il dito prima contro i «giudici» (traduzione: la Magistratura, col malcelato fine di far cadere il Governo) e  quindi contro il querelante, tale avvocat...

Abbaianti e anabbaianti

Quella che appariva una precipua caratteristica degli animali (e vegetali) dell’italico governo, e cioè l’ininterrotto latrare quale miglior alternativa al mordere, pare aver fatto scuola anche sul ponte di comando della Casa Bianca.  Nessuno, per adesso, porta  sulle carni l’impronta della dentiera del Pannocchia. Tutti hanno invece le orecchie in frantumi per l’ininterrotto abbaiare, la cui eco risuona in ogni angolo di un pianeta sempre più stupefatto. Ultimo latrato, dopo i tanti lanciati allo Stato sovrano di Panama, al regno di Danimarca, al reame britannico del Canada, agli Stati Uniti del Messico, all’Unione Europea, alla Cina, alle truppe multisex arcobaleno, è quello destinato all’ex compagno di merende Putin, già suo maestro. Il dittatore russo, a cui nulla manca tranne che il rispetto e l’onore, sentendosi colpito proprio in quei due assenti ma bramati beni, ha risposto dipingendo per interposta persona Trump come un «teppistello da strada». Quasi lui fosse invece ...

Tutti per Nizza!

— Qui o si fa l’Europa o si muore!  Chi più di Giuseppe Garibaldi sarebbe oggi titolato a riproporre l’incitamento di Calatafimi ai suoi Mille, seppur al tempo riferito alla sola imminente Italia? Nato a Nizza, proprio in quel fatidico 1860 Garibaldi vide il Regno di Sardegna svendere la sua città alla Francia. Quale miglior pretesto per mandare al diavolo Cavour e la stessa idea di far di tanti staterelli affamati una grande nazione? Fosse stato un omuncolo, lo avrebbe fatto. Ma era Garibaldi. E il sogno di un’Italia unita mille volte più grande del rimpianto di una Nizza italiana. E così l’Italia si fece. Alternativa senz’altro preferibile alla seconda: morire. Baciare la pantofola a Trump, alle soglie di una guerra planetaria nella quale l’Unione Europea non sarà più alleata o nemica, ma semplicemente il bottino, significa pensare più a Nizza che all’Italia, più all’Italia che all’Europa.  Perché o l’Europa si fa Stato, un vero Stato Confederale Europeo , o i vincitori di d...

Binario morto

Chi se ne infischia se il treno non fischia? Tanto la colpa è sempre di qualcun altro. Mai del ministro. Alcuni buoni magari a fermare i treni, se ancora non è stata costruita la stazione nel punto esatto in cui intendono scendere, altri incapaci di farli muovere.  Una colpa non può che essere di qualcun altro. Perché ogni colpa è la conseguenza di un’azione errata, e l’agire (nel bene o nel male) non compete a un ministro. Mai giunse notizia di ministri aggirarsi nottetempo a piantar chiodi tra i binari ferroviari, o sedersi alla guida per far deragliare un convoglio.    Ma una cosa è la colpa, un’altra è la responsabilità. Se in hotel la stanza è sporca, la colpa è certamente della cameriera svogliata o incapace che ha trascurato di pulirla. Ma la responsabilità è sempre del direttore dell’albergo. E non perché qualcuno gliel’abbia appioppata di nascosto, ma perché egli stesso ha scelto di assumerla accettando l’incarico. Ed è a lui (non alla cameriera) che elevo la mi...