Scrivere la musica è compito del Parlamento, che in Italia si identifica con il popolo sovrano. La sola istituzione dello Stato eletta con suffragio universale.
Chiunque, s’intende, può comporre musica anche al di fuori del Parlamento: anche un bimbo che fischietta per strada. Ma spetterà comunque alle Camere il compito di stenderla in modo corretto sul pentagramma, così che qualsiasi orchestra possa fedelmente eseguirla.
L’orchestra, in Italia, è il Governo. Coi suoi ministri, ciascuno specialista del proprio strumento, e un direttore che li coordina e li armonizza.
I Governi non durano di regola più di cinque anni, le leggi restano talora invariate per secoli. Spetta all’orchestra dar vita alla partitura, animandola del gusto del tempo senza per ciò tradire le note che si susseguono sul rigo.
Se l’orchestra ha saputo dar voce allo spartito, esaltandone i suoni e le armonie, l’esecuzione troverà l’approvazione della critica e gli applausi del pubblico. E la gratitudine di chi dirige il teatro: il solo che ha il potere di assumere o licenziare l’intera orchestra, dal maestro fino all’ultimo dei coristi. Quello che in Italia è il Capo dello Stato. Spetta a lui, insieme alla Magistratura (della quale non a caso sta a capo) il compito di verificare che l’azione del Governo sia rispettosa di quanto faticosamente scritto dal Parlamento.
Accanto al giudizio della Magistratura si affiancano le valutazioni del pubblico in sala (l’opinione pubblica) e quelle della critica (la stampa). Due protagonisti istituzionalmente privi di poteri ma non per questo ininfluenti.
La stampa, non a caso definita da alcuni «Quarto Potere», è stata più d’una volta determinante nel divenire delle nazioni. L’opinione pubblica, persino quando limitata dalla museruola dei regimi, riempie prima o poi le piazze e fa sentire la propria voce.
A ciascuno il suo compito. Questo è il senso della separazione tra i poteri che contraddistingue le Costituzioni nate in età moderna dalla fortunata intuizione di Montesquieu.
Non è un bello spettacolo vedere un direttore d’orchestra impreparato o di scarso valore tentar di giustificare i propri insuccessi scaricandone colpe e responsabilità sugli ignari compositori del presente o del passato, o sul pubblico deluso che lancia ortaggi, o sulle severe annotazioni di una critica ingrata!
Ma è lui che ha scelto di dirigere l’orchestra, lui ha selezionato i musicisti, lui li ha proposti al direttore del teatro. Ed il pubblico, unico pagatore, ha pieno diritto di pretendere buona musica. Meglio se ottima. Anche perché le note che lì si ascoltano anch’essi hanno contribuito a scriverle.
Non è un bello spettacolo.
Fortunatamente, non c’è sala che non disponga di un sipario, e non tutte le esecuzioni restano in cartellone per mesi o per anni: alcune non vanno oltre la prima. Travolte dai fischi del pubblico, dalle stroncature della critica, dalle lettere di licenziamento della direzione del teatro.
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