Nessuno, per adesso, porta sulle carni l’impronta della dentiera del Pannocchia. Tutti hanno invece le orecchie in frantumi per l’ininterrotto abbaiare, la cui eco risuona in ogni angolo di un pianeta sempre più stupefatto.
Ultimo latrato, dopo i tanti lanciati allo Stato sovrano di Panama, al regno di Danimarca, al reame britannico del Canada, agli Stati Uniti del Messico, all’Unione Europea, alla Cina, alle truppe multisex arcobaleno, è quello destinato all’ex compagno di merende Putin, già suo maestro.
Il dittatore russo, a cui nulla manca tranne che il rispetto e l’onore, sentendosi colpito proprio in quei due assenti ma bramati beni, ha risposto dipingendo per interposta persona Trump come un «teppistello da strada». Quasi lui fosse invece un baronetto d’antico lignaggio.
Il lato positivo di tanto latrare è che difficilmente i cani si azzannano tra loro. Quello negativo è che amano invece accanirsi contro ogni altra specie vivente si trovi nelle immediate vicinanze. Purché – va da sé – disarmata e debole (Panama? Groenlandia?). O ritenuta tale (Ucraina?).
La schiera degli abbaianti cresce di giorno in giorno.
Non solo gli USA, la Cina, la Russia, l’Ungheria, l’Argentina, l’Italia: altri quadrupedi mordono il freno in Germania, in Francia, in Austria, pronti ad unirsi alla crescente cagnara.
Il frastuono è tanto. Ma proprio a quello serve: a sovrastare la voce degli anabbaianti, gli uomini di senno, che pure esistono.
È il medesimo inconcludente latrare che da due decenni inonda indisturbato il web: odio a piene mani verso chiunque, condito con menzogne, falsità e faziose riletture della Storia. Da Cristoforo Colombo criminalrazzista all’Euro sciagura dell’Europa, dal mondo depredato dall’«Occidente» alla suicida ostilità ai vaccini. Odio che sfocia in generiche quanto imprecisate ansie di rivincita. Quando non in vere quanto pretestuose rivolte di piazza.
Un profluvio di aria rifritta facilmente riassumibile in una sola parola: insoddisfazione.
Milioni di persone ieri scalze ed oggi calzate, ieri a piedi ed oggi in auto, ieri senza il bagno ed oggi con l’idromassaggio, scoprono tristemente d’esser loro stesse il problema. Non la mancanza di quegli oggetti di cui ora dispongono in abbondanza, ma la coscienza della propria nullità: l’assenza di un pensiero, di un fine, di una conoscenza, di strumenti per leggere il presente o progettare il futuro.
Mancanze alle quali un tempo, in assenza di una pubblica istruzione, davano risposta le religioni. Ed oggi, quanto meno in Occidente, neppure più quelle.
Eppure sarebbe sufficiente spegnere per qualche ora computer e telefono, tappare le orecchie molestate dagli abbaianti ed ascoltare gli anabbaianti. Che però si esprimono non attraverso le gag circensi dei tiktok o lo strillato turpiloquio dei talk-show, ma col meditato susseguirsi delle parole tra le pagine dei libri e dei giornali di più antica tradizione.
Gli anabbaianti chiedono poco o nulla: non il voto, non il plauso dei fessi acclamanti, non il denaro, non una statua nelle piazze, e neppure l’intitolazione di un aeroporto. Chiedono soltanto che si presti attenzione alle loro parole, sacerdoti di una religione laica che si propone non di trasformare gli uomini in cani sbraitanti, ma i cani sbraitanti in uomini.
E il bello degli anabbaianti è che sanno parlarci anche da morti, quando agli abbaianti non è invece più concesso latrare.
Non si contano sulle dita di una mano, come i pochi aspiranti padroni del mondo, ma sono migliaia e migliaia, e ci parlano in ogni lingua, passata o presente. Ma anche coi pennelli e con il marmo, per chi nessuna lingua è in grado di intendere.
La soddisfazione di sé non può nascere da altro luogo se non dal profondo di se stessi.
Non dagli oggetti di cui molti amano circondarsi all’esterno, ma dalla sapienza che riusciranno a coltivare al proprio interno. Fatta di idee (che proficuamente nutrono) e non di latrati (che inutilmente spaventano).
Gli abbaianti presto si stancano e presto scompaiono.
Gli anabbaianti vivono in eterno.
Scommettere sui secondi, è la scelta degli uomini di senno.
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