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Spiegabile, ma ingiustificabile

Spiegabile, ma ingiustificabile, la decisione israeliana di sparare sulle forze di interposizione ONU in Libano. E se non è stato difficile, per Netanyahu, chiamar prudentemente «incidente» i colpi del 10 Ottobre, certamente lo è riproporre la medesima definizione per quelli sparati sul medesimo obiettivo il successivo 11 Ottobre.  La spiegazione delle autorità israeliane, giustamente pretesa da tutte le nazioni impegnate nella missione UNIFIL ( United Nations Interim Force In Lebanon ), Italia in testa, è stata quella che proprio nei dintorni delle basi erano con tutta probabilità operative alcune rampe di lancio dei missili di Hezbollah.  Ciò che rende quella spiegazione del tutto ingiustificabile, invece, è il fatto che qualsiasi azione in tal merito poteva (e doveva) esser concordata con quelle stesse forze di interposizione, presenti in regime di extraterritorialità, interessate non meno di Israele a ripulire il Libano di criminali sciiti che vorrebbero impadronirsene. La...

Più della falce, poté il martello

Il campo c'era. Neppure difettava il concime. Coltivatori, poi, ce ne stavan fin troppi, ciascuno convinto della propria scienza. Eppure il campo non s’è allargato. Anzi, i litigiosi confinanti han rialzato di qualche centimetro i recinti, aggiungendo filo spinato soprattutto là dove s’affacciava quel minuscolo fazzolettino di terra proprietà d’un certo zappatore toscano.  Più della falce, poté il martello. Ed il campo sparì.  E se il problema fosse nelle piante, evidentemente aduse a piantarsi l’una con l’altra? Si trattasse solo di quello, sarebbe sufficiente estirpare le erbacce (tante) e curare le piante utili (poche): le sole in grado di dare frutti. Ma per farlo occorrerebbe un vero agricoltore, buon intenditore tanto delle piante come del terreno, ben attrezzato e desideroso di accrescere non solo la quantità, ma anche la qualità del raccolto. Non è certo questo il ritratto dell’attuale piddì, idra politico dalle poche teste e dalle troppe gambe, indirizzate ciascuna in...

Proporzionalità

L’Iran – che ha rivendicato oggi (4 Ottobre), per bocca del capo supremo Ali Hoseyni Khamenei, gli inauditi crimini del 7 Ottobre 2023 – è un Paese la cui superficie è oltre 74,5 volte più vasta di quella di Israele. Ma anche l’Iraq è 19 volte più grande, e la Siria 8 volte. Solo il Libano, quasi una Liguria del Medio Oriente, serrato com’è tra monti e mare, non arriva alla metà del piccolo Stato ebraico. I nemici che lo circondano, pertanto, occupano in totale una superficie pari a 102 volte quella di Israele.  Ciò nonostante, il clero che comanda in quelle quattro nazioni lamenta che i loro popoli siano spaventati e bullizzati da quel minuscolo francobollo di terra. Per giunta neppure interamente ebraico, ma condiviso con gli insoddisfatti nemici di casa: i Palestinesi. Che pur dopo esser stati schiavi per secoli – dal dominio ittita-babilonese a quello britannico, passando per Egizi, Romani, Bizantini, Arabi, Crociati e Ottomani – han rifiutato in armi quella Risoluzione ONU che...

Quattro giorni prima

Quattro giorni prima dell’anniversario del massacro del 7 Ottobre – sempre che «anniversario» lo si possa definire, col massacro ancora in essere e gli ostaggi prigionieri nelle fogne, quotidianamente vessati – quando l’Iran dichiara ufficialmente guerra ad Israele (Paese 74 volte più piccolo ma eroicamente determinato a resistergli) gli unici sostenitori del terrorismo planetario islamico che fa capo ad Ali Khamenei non si trovano certo in Iran, e neppure in Libano o in Siria, o in Iraq, e ancor meno in Egitto, in Arabia Saudita o in Maghreb, dove i Sunniti considerano gli Sciiti i loro primi nemici, ma nel cuore delle grandi città del mondo occidentale. Italia compresa.  Ed è in Italia che un coacervo di agitatori e saccheggiatori di professione (col fattivo apporto di qualche interessata manina russa) – da cui persino la Comunità Palestinese del Lazio si è dissociata – ha indetto per il 5 Ottobre (due giorni prima) una manifestazione nel centro di Roma a sostegno dei macellai di...

Sette giorni prima

L’ormai imminente primo anniversario del 7 Ottobre – atteso da troppi non come un luttuoso evento i cui terribili effetti sono ancora in corso, ma come lieta occasione di far festa tra sfilate carnevalesche, canti, danze, saccheggi e cagnara antisemita – minaccia di accendere ulteriori pericolosi disordini.  E non in Medio Oriente, oggi diviso tra chi è chiamato a combattere e chi invece a difendersi, e neppure nelle straricche città arabe di Al Ryad, Abu Dhabi, Doha o Dubai, ma nei fragili centri storici delle città d’Occidente.  Consapevoli dei rischi, molti Stati han vietato per quella ricorrenza ogni genere di manifestazione di piazza, per evidenti ragioni di ordine pubblico. Un divieto che alcuni han tuttavia annunciato di voler apertamente violare. Sotto gli occhi e i portafogli compiacenti dello spionaggio russo, mai così attivo in Italia, così come di chiunque altro è nemico di ogni progresso. * * * * * Ciò premesso, è giunto il tempo di por fine all’indecente arbitrio...

Un bel tacere

Un bel tacere vale più di mille parole.  E se un bel tacer ci è stato dato intendere, tra l’assordante fracasso dei colpi di mortaio, il sibilo delle bombe e le esplosioni dei missili, quello è stato il profondo silenzio dell’Arabia Saudita. O meglio: di quella gran parte dei musulmani di fede sunnita che, ben più di Israele, hanno in odio i sanguinari fratelli di fede sciita. Non una parola sui combattimenti in corso.  
La distanza tra Sciiti e Sunniti sarebbe giusto una questione meramente dottrinale e filosofica – non diversa da quelle che ancora dividono le decine di differenti fedi cristiane professate nel mondo – se ad avvelenarla non vi fosse un’assai più concreta questione territoriale, e cioè il controllo dei luoghi sacri ai musulmani. Uno dei quali è comune alle tre religioni monoteiste (la città di Gerusalemme), mentre i due restanti riguardano esclusivamente l’Islam: la città di Medina e La Mecca.  Circa Gerusalemme, la Chiesa di Roma si è signorilmente fatta ...

Prova di forza

È magicamente riapparso sulle televisioni di Santa Madre Russia un filmato di quattro minuti che simula gli effetti di un bombardamento nucleare sulla città di Londra.  L’autoerotismo dei volgari ubriaconi del Volga giunge al massimo nel veder scomparire in pochi secondi il contenuto di svariate edizioni di guide turistiche, da Buckingham Palace al Big Ben, da Westminster alla City, ma il godimento sale nel veder scorrere sullo schermo il bilancio finale della disfatta: 850.000 morti e 2.000.000 feriti. Sorvolando sulle prevedibili reazioni degli altri 6.000.000 di Londinesi scampati al massacro. Quel che i minacciosi cosacchi continuano a non voler considerare (o meglio: a non poterlo, richiedendo l’operazione una quantità almeno plurale di neuroni) è che la disfatta dell’Occidente sarebbe la fine anche per la Madre Russia, privata d’ogni Santità.  Dove mai andrebbero a prendere, i Russi postnucleari, il cibo, le automobili, i televisori, i frigoriferi, le scarpe, le mutande ...