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Quattro giorni prima

Quattro giorni prima dell’anniversario del massacro del 7 Ottobre – sempre che «anniversario» lo si possa definire, col massacro ancora in essere e gli ostaggi prigionieri nelle fogne, quotidianamente vessati – quando l’Iran dichiara ufficialmente guerra ad Israele (Paese 74 volte più piccolo ma eroicamente determinato a resistergli) gli unici sostenitori del terrorismo planetario islamico che fa capo ad Ali Khamenei non si trovano certo in Iran, e neppure in Libano o in Siria, o in Iraq, e ancor meno in Egitto, in Arabia Saudita o in Maghreb, dove i Sunniti considerano gli Sciiti i loro primi nemici, ma nel cuore delle grandi città del mondo occidentale. Italia compresa. 

Ed è in Italia che un coacervo di agitatori e saccheggiatori di professione (col fattivo apporto di qualche interessata manina russa) – da cui persino la Comunità Palestinese del Lazio si è dissociata – ha indetto per il 5 Ottobre (due giorni prima) una manifestazione nel centro di Roma a sostegno dei macellai di Hamas.

La Questura, con saggia prudenza, ha vietato la manifestazione per evidenti ragioni di ordine pubblico. 

Gli organizzatori, dopo aver presentato un ricorso al TAR – che l’ha rigettato – ha deciso di sfidare comunque il divieto e scendere in piazza, appellandosi al diritto di libera espressione riconosciuto dalla Costituzione: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». (Art. 21).

Norma costituzionale che pone l’accento sul «proprio» pensiero (già di per sé differente da quell’«altrui» pensiero che è la propaganda) e fa espresso riferimento alla parola (discorsi), allo scritto (la stampa) e ad ogni altro mezzo di diffusione (ieri manifesti, striscioni, cartelli, oggi anche radiotelevisioni libere e rete internet). Ma parla di «manifestazioni», non di «azioni», come lo sono bloccare la circolazione stradale, imbrattare i muri, spaccare vetrine, lanciare razzi, malmenare i passanti, resistere alle forze dell’ordine, rovesciare le auto, turbare in qualsiasi modo l’ordine pubblico.

Questo non soltanto per il fondamentale principio che ogni libertà personale deve trovare un limite nella libertà degli altri, ma anche perché il dettato costituzionale è sempre e comunque regolato dalla legge. Che etichetta determinate azioni come reati. 

La Costituzione, per esempio, garantisce a tutti la libertà di movimento: ciascuno è libero di andare dove vuole. Ma non per questo può pretendere di entrare gratis in teatro o introdursi in una proprietà privata, od occupare una scuola, un ospedale o una caserma. Oltre ciò, la legge prevede in più d’un caso la possibilità di limitare la libertà di movimento: dall’obbligo di firma sino al carcere. Fermare chi è sorpreso a delinquere è forse un atto incostituzionale?

Allo stesso modo non è incostituzionale la possibilità di vietare una manifestazione, sia essa sportiva, religiosa, sindacale o politica, ogni qual volta sussista una possibile minaccia all’ordine pubblico, se non addirittura la dichiarata volontà di commettere reati: dagli atti osceni fino alle ingiurie, dalla diffamazione alle minacce, per non parlare di distruzioni, occupazioni e saccheggi.

È sempre la Costituzione, nell’art. 17, a dettare la norma: «I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica».

Che nel caso in esame i motivi di sicurezza o di incolumità pubblica siano «comprovati», lo ha ribadito il TAR. Opporsi al divieto è dunque già di per sé un reato. Così come lo sarebbero i già visti cartelli diffamatori nei confronti di rispettabilissimi persone, i già sentiti menzogneri slogan (diffusione di notizie false e tendenziose), i già subiti atti di violenza. 

Ma ancor prima c’è una questione di educazione e di buon gusto: non si manifesta a favore dei criminali, quando questi continuano a farsi scudo di ostaggi rapiti e tuttora sotto sequestro. 

Nessuno scese in piazza per difendere i sequestratori di Fabrizio De André o di Paul Getty Jr, giustificandoli con l’emarginazione sociale (volontaria) o la povertà (volontaria) dei loro autori.

Un’educazione e un buon gusto che onorano la Comunità Palestinese di Roma e Lazio, che ha riconosciuto le ragioni del divieto e ha spostato la propria protesta al 12 Ottobre. Ma disonorano i fomentatori (prezzolati e no) di distruzioni e disordini, fermamente intenzionati a muoversi in corteo per la città il prossimo 5 Ottobre.

Come andrà a finire, lo diranno i giornali del 6 Ottobre.

La speranza di tutti è che possano farlo in sole quattro righe. Piuttosto che in quattro pagine.


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