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Prova di forza

È magicamente riapparso sulle televisioni di Santa Madre Russia un filmato di quattro minuti che simula gli effetti di un bombardamento nucleare sulla città di Londra. 

L’autoerotismo dei volgari ubriaconi del Volga giunge al massimo nel veder scomparire in pochi secondi il contenuto di svariate edizioni di guide turistiche, da Buckingham Palace al Big Ben, da Westminster alla City, ma il godimento sale nel veder scorrere sullo schermo il bilancio finale della disfatta: 850.000 morti e 2.000.000 feriti. Sorvolando sulle prevedibili reazioni degli altri 6.000.000 di Londinesi scampati al massacro.

Quel che i minacciosi cosacchi continuano a non voler considerare (o meglio: a non poterlo, richiedendo l’operazione una quantità almeno plurale di neuroni) è che la disfatta dell’Occidente sarebbe la fine anche per la Madre Russia, privata d’ogni Santità. 

Dove mai andrebbero a prendere, i Russi postnucleari, il cibo, le automobili, i televisori, i frigoriferi, le scarpe, le mutande e, giù giù fino alle matite e alle graffette per l’ufficio, tutto quel che essi quotidianamente consumano e che non sono mai stati in grado di produrre, e mai lo saranno?

«Dalla Cina!» È la pronta e furba risposta. Dimenticando che la Cina, come tutti i Paesi schiavizzati, può anche produrre tutto quel che serve al resto del mondo, ma solo dopo aver appreso dagli altri come farlo, e non è in nessun modo in grado di progettare quel che è invece il nuovo. 

L’ideazione nasce dalla libertà. Puoi fabbricare iPhone anche in milioni di esemplari, ma non certo inventarlo. Perché trasformare un telefono da utilità in passatempo, per giunta portatile, e incorporarvi tutti i film e tutti i dischi del mondo, insieme agli strumenti per crearne di propri e di nuovi, non richiede la presenza di un forte Comitato Centrale, ma di una spiaggia assolata della California, di un surf, di qualche canna e di tanto tempo per guardare il cielo e immaginare le cose che vorresti che ci fossero, ma che ancora non ci sono. In una parola: sognare. 

Dal ribollire dei vulcani è nato il mondo, non dalla quiete apparente delle cime. 

I Russi sono un popolo primitivo che, come tutte le popolazioni primitive, non vive di industria ma di raccolta. Ma possiede il territorio più vasto al mondo, quasi un’intera faccia del pianeta, e dunque non raccoglie soltanto bacche e legname, ma anche oro, diamanti, gas, uranio, petrolio... Quanto basta per riempirsi la pancia e la casa di beni acquistati altrove. Da chi li produce. E goderseli – si fa per dire – in mezzo al gelido deserto che li circonda.

Radere al suolo coi missili (sempre che qualche generale infedele non li abbia nel frattempo svuotati per rivendersi l’uranio e rifornirsi di vodka) quell’Occidente da cui i Russi attingono tutto ciò che occorre loro per sopravvivere, dalla pagnotta alla motocicletta, dai telefonini alla lavatrice, rischia di rivelarsi un boomerang. Forse la sola arma con cui i vigliacchi della steppa hanno ancora poca confidenza, ma che imparerebbero presto a conoscere. 

Il mondo può sopravvivere senza la Russia. Bene. Benissimo. Anzi: meglio. 

La Russia, invece, non può sopravvivere senza il mondo che la circonda. E con la sua operosità le consente di esistere.

Mai come stavolta la prova di forza di un dittatore impazzito potrebbe rivelarne invece la debolezza. 

Ma a quale prezzo?

  

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