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Scherzo di Carnevale

Colto di sorpresa! Forse il cazzar di tutte le Russie si attendeva che fosse Amadeus a recapitare a Zelensky un telegramma di Biden, mentre tappezzava Mosca e Pietroburgo di manifesti patriottici in vista delle celebrazioni per le eroiche azioni dell’Armata Rossa – alimentata a vodka – in Ucraina: un anno di stupri, torture, stermini, furti, distruzioni, rapine, dettagliatamente testimoniati dal tenente dimissionario Konstantin Yefremov, schifato da quella sanguinaria invasione che fotografa come «la vicenda di un comico che diventa un vero presidente e di un presidente diventato un comico». Ma a carnevale ogni scherzo vale. Così, anziché un messaggio in bottiglia, è giunto ieri a Kiev il presidente Biden in persona, scompaginando le scalette dei canali televisivi russi, costretti a dar fondo al barile delle menzogne per oscurare l’inatteso quanto eclatante evento. Festa rovinata, per i gerarchi moscoviti. «Biden come Hitler», sostiene il politologo Mikhail Tiurenkov, indignato perché ...

Farina di Grillo

Eh sì! Anche la «Chiesa dell’Altrove» è farina (del sacco) di Grillo. Di Beppe Grillo.  Ligurmente insoddisfatto dei 300.000 euro corrispostigli ogni anno dal Mo’ Vi Mento per le sue invisibili consulenze (starsene zitto e buono, col telefono staccato, in una delle sue case in città, al mare o in campagna) il Grillo non più Parlante ha deciso di dar vita a un proprio credo religioso: la «Chiesa dell'Altrove».  Le basi del suo divino pensiero sono di pura scuola matematico-pitagorica: se ai partiti va il 2‰ dell’IRPEF e alle chiese l’8‰, dar vita a una compagine religiosa è quattro volte più consono alle sue liguri aspirazioni che non fondarne una di stampo politico, ancor meno se dovesse poi rivelarsi una di quelle dove i (non sempre) fedeli ti si rivoltano contro. Se a ciò si aggiunge l'indiscutibile fatto che il trecentesco contratto di consulenza silenziosa scadrà tra poco più di un mese, mentre batte cassa la squadra di avvocati che in tribunale difende il figlio dalle di ...

I cacasotto

È un’Italia di cacasotto, quella che traspira dalle pagine dei giornali in queste settimane da dopofestival.  A cominciare da quel berlusca tornato semprevergine che china il capo moquettato e si azzerbina al compagno di colbacco per recitarne a memoria l’indegna e menzognera storiella: quella del lupo che deve pur difendersi dall’agnello, sbranandolo; per poi proseguire con gli strazianti lamenti alzati al Cielo dagli arricchiti dei superbonus e dai fulminandi terrorizzati dalla rivoluzione elettrica del 2035!  L’assoluzione con formula piena del santo di Arcore, giustificata dal fatto che non avrebbe potuto in alcun modo pagare le testimoni – dal momento che testimoni in realtà non erano, bensì mancate imputate – è un capolavoro avvocatizio da far impallidire mille Perry Mason. Ma convince i suoi devoti che mostrano adesso i denti, anziché benedirla, a quella stessa magistratura che l’ha appena assolto, invocando commissioni parlamentari d’inchiesta con cui mazzolare a manca...

Partiti e spartiti

Sorprende la meraviglia dei partiti (che poi partiti neppure più sono, se non decidono da che parte stare) per la scarsa affluenza al voto in Lombardia e nel Lazio, inchiodata rispettivamente al 41,67% e al 37,2%.  Non si comprende il perché di tanto stupore. Si tratta di elezioni amministrative, il cui fine non è quello di affermare un’egemonia politico-ideologica ma di eleggere i membri di un consiglio regionale e il suo presidente.  Quel fine è stato pienamente raggiunto, e tanto basta.  Quanto agli elettori, non si può certo dire che non si siano espressi, se è vero che il silenzio è una discussione portata avanti con altri mezzi (Che Guevara).  È stato un silenzio rumoroso, per alcuni assordante. Ma del tutto prevedibile. Speculare risposta al più colpevole tacere di chi non è stato in grado di esprimere né dei candidati spendibili né un pur sommario accenno di programma.  In Lombardia erano in lizza due esseri umani e un frillo. È stato prescelto uno dei ...

Terminator

Forse invidioso del rimbalzo mediatico del lungo bacio sanremese fra tatuati, un alto (?) esponente della compagine governativa, lo stesso che ha espresso l’attuale ministro degli Esteri, ha ben pensato di rinverdire i trascorsi amori oltrecortina al fine di occupare anch’egli le prime pagine di giornali e tiggì, giusto in tempo per le celebrazioni di San Valentino.  Così, dopo ave inutilmente mandato in avanscoperta il figlio, tremebondo per la paventata occupazione ucraina della Riviera dei Fiori, l’alleato di governo è sceso in campo personalmente, dilungandosi in una più che sconveniente pubblica slinguacciata all’imperatore in capo di tutte le Russie.  Avrebbe certamente mimato il rapporto sessuale, se solo gli fosse riuscito accovacciarsi senza l’ausilio di due badanti a sorreggerlo. Nell’impossibilità di sedercisi sopra, ha soprasseduto. Generale è stato lo sconcerto in Consiglio dei Ministri, dove il/la presidente ha interpretato l’effusione più come un mirato sputo ne...

Semel in anno

Il grande circo di Sanremo smonta il tendone e sgomma verso il 2024.  Acrobati e pagliacci, orchestrali e trapezisti, bestie ammaestrate e bestie feroci, imbonitori e questuanti risalgono sugli scassati o pretenziosi carrozzoni, lasciando dietro di sé montagne di escrementi e altri rifiuti. Spettatori di sedici nazioni hanno affollato le tribune, desiderosi di sangue e arena. Gli è stata offerta una sfilata di edite ed inedite nullità, illuminate dalla presenza di qualche vecchio leone ridotto anch’esso al belato, dopo tanto passato ruggire.  Doveva essere il festival di Zelenzky, ma è diventato senza saperlo il festival di Putin, orrido campionario di quell’occidental degrado e decadenza della quale il russo principe dei vigliacchi si fa scudo per giustificare l’ingiustificabile: sovvertire con le armi l'equilibrio così faticosamente costruito tra le nazioni. Quale miglior regalo al dittatore in colbacco dell’infinito repertorio di luoghi comuni, di politicamente corretto, di...

Uomini e no

Si narra che il grande Nicolò Paganini, nel bel mezzo di un concerto, ruppe una delle quattro corde del suo prodigioso violino, opera del maestro liutaio Giuseppe Guarnieri e ribattezzato «il cannone» per via dell’eccezionale potenza di suono.  L’orchestra parve esitare, ma il grande violinista non fece una piega: traspose mentalmente l’intera partitura sulle tre corde restanti e portò regolarmente a termine l'esecuzione.  L’immagine torna alla mente osservando la rabbia di un rabbier sul palco di Sanremo, improvvisamente castrato da un calo di livello nel volume di quegli auricolari che abitualmente lo puniscono costringendolo ad ascoltare i suoi stessi sgorgheggi, non meno di quegli specchi usi a spaventarlo restituendogli alla vista gli inguardabili tatuaggi.  Impossibilitato da tanta sciagura a dare il meglio di sé, ha ritenuto opportuno dare il peggio: accanendosi vigliaccamente su quei fiori che, ignari, senza timore alcuno lo incoronavano. Quei medesimi fiori che ...