Così, dopo ave inutilmente mandato in avanscoperta il figlio, tremebondo per la paventata occupazione ucraina della Riviera dei Fiori, l’alleato di governo è sceso in campo personalmente, dilungandosi in una più che sconveniente pubblica slinguacciata all’imperatore in capo di tutte le Russie.
Avrebbe certamente mimato il rapporto sessuale, se solo gli fosse riuscito accovacciarsi senza l’ausilio di due badanti a sorreggerlo. Nell’impossibilità di sedercisi sopra, ha soprasseduto.
Generale è stato lo sconcerto in Consiglio dei Ministri, dove il/la presidente ha interpretato l’effusione più come un mirato sputo nell’occhio che non una tenerezza fra lontani amanti.
Il baciator cortese ha ovviamente precisato di non parlare a proprio vantaggio, o del tenero amico, ma per il bene del mondo. Cacciando fuor di tasca la ricetta finale per una pace equa e duratura.
Dopo aver accusato il presidente ucraino di aver «attaccato» le due repubbliche autonome (ma non indipendenti) del Donbass, e dunque incolpandolo dell’aggressione e dell’invasione, ha conseguentemente affermato come spetti a Zelensky, e non ad altri, il dovere di «cessare il fuoco». Come se fosse possibile por fine a qualcosa che in realtà non è mai incominciata, dal momento che non un solo civile russo è stato ferito dal fuoco dell’esercito ucraino, né un solo centimetro di territorio russo è mai stato minacciato.
Ovviamente, poiché a tutto c’è un prezzo, un’Ucraina così prostituita all’orso del Cremlino riceverebbe in dote un «piano Marshall» (e pazienza se il capo di Stato Maggiore George Marshall è serenamente defunto nel 1959) di sette, otto – ma che dico! – novemila miliardi di dollari: più di un terzo dell’intero PIL USA nel 2022!
Come dire: un terzo della ricchezza prodotta in un anno dai Cinquanta Stati americani dovrebbe servire a riparare i danni fatti dal dittatore russo per poi regalare al medesimo che l’ha rasa al suolo un’Ucraina rimessa a nuovo e tirata a lucido.
Ossia: chi rompe non solo non paga, ma riceve in premio, in luogo dei cocci, un oggetto nuovo ancor più bello di quello che ha appena rotto. E tutto a spese di uno Stato terzo che nulla ha avuto a che fare né col distruttore, né col distrutto, se non il fatto d’aver dato i natali, nel lontano 1880, al citato universal benefattore George Marshall.
Ci voleva il ghe-pensi-mi, per sistemare al meglio ogni cosa. Che mentre con una mano ricostruisce l’Ucraina, con l’altra demolisce a colpi d’accetta il suo stesso governo.
Come andrà a finire sta già scritto da migliaia e migliaia di anni, in quel best-seller nostrano che è la Bibbia: «Chi porta lo scompiglio in casa, erediterà il vento. E lo stolto diventerà schiavo del saggio (Prov. 11:29)».
Lo stolto, a quanto pare, già lo abbiamo.
Manca il saggio, al momento. E pare difficile che possa provenirne alcuno dalla casa di fronte, già scompigliata da un mare di stolti e fermamente convinta che siano sufficienti sei mesi di finte primarie per trasformare un asino in leone.
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