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Uomini e no


Si narra che il grande Nicolò Paganini, nel bel mezzo di un concerto, ruppe una delle quattro corde del suo prodigioso violino, opera del maestro liutaio Giuseppe Guarnieri e ribattezzato «il cannone» per via dell’eccezionale potenza di suono. 

L’orchestra parve esitare, ma il grande violinista non fece una piega: traspose mentalmente l’intera partitura sulle tre corde restanti e portò regolarmente a termine l'esecuzione. 

L’immagine torna alla mente osservando la rabbia di un rabbier sul palco di Sanremo, improvvisamente castrato da un calo di livello nel volume di quegli auricolari che abitualmente lo puniscono costringendolo ad ascoltare i suoi stessi sgorgheggi, non meno di quegli specchi usi a spaventarlo restituendogli alla vista gli inguardabili tatuaggi. 

Impossibilitato da tanta sciagura a dare il meglio di sé, ha ritenuto opportuno dare il peggio: accanendosi vigliaccamente su quei fiori che, ignari, senza timore alcuno lo incoronavano. Quei medesimi fiori che della città che lo ospita sono insieme il vanto e un’importante fonte di reddito.

Qualcosa dev’essere cambiato, da quel Sanremo 1951 che vide una giovane Nilla Pizzi trionfare con un brano giustappunto intitolato «Grazie dei fiori». 

Nel Sanremo 2023 i fiori va invece di moda distruggerli. Non meno dei monumenti e delle opere d’arte, dei muri e dei giardini delle città, della musica e della lingua... In breve, di tutto ciò che è gradevole e bello. 

Il buon Paganini, che da tempo vive qui nel Cloud insieme a noi, è da ieri che ancora se la ride. E non solo lui. Ridono anche quei gruppi rock che negli anni Sessanta sbattevano a terra le chitarre e quel Keith Emerson che affettava l’Hammond a colpi d’ascia. Se non altro spaccavano la roba loro, non quella degli altri: fiori e timpani. 

E il concerto, soprattutto, lo portavano a termine. 


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