Quei commentatori che tanto amano riempirsi la bocca di Terza Guerra Mondiale, sia in versione Lego («a pezzi») che in versione automobilistica ( full optional : tutto incluso), mostrano di non aver del tutto afferrato la vera natura del conflitto in atto. Tanto la Grande Guerra (colonialista) che la Seconda (imperialista), furono entrambe figlie di un’Età Industriale allora in crescita esponenziale, volte l’una ad assicurare alla propria nazione le materie prime, l’altra ad esercitare un diretto controllo sui mercati di consumo. Tanto i vecchi imperi che, più tardi, i nuovi, erano di fatto in corsa per un medesimo trofeo: eliminare quei soli limiti (approvvigionamento e vendite) che impedivano al nuovo modello produttivo industriale di raggiungere le massime vette. Oggi, con una popolazione mondiale ottuplicata, in un Occidente disorientato e spopolato dove per vivere è sufficiente un unico braccio (quello che regge il telefonino), con una Cina infastidita dalle prime avvisaglie ...
La parola «riarmo» non piace? Bene. Chiamatelo «controdisarmo», allora. Una nuova pagina di Storia, a tutto vantaggio della Germania e dell’Italia, che cancella con un tratto di penna quel «disarmo» imposto alla Germania (totale), all’Italia (parziale), all’Ungheria, alla Romania, alla Bulgaria, alla Finlandia dai Trattati di Parigi del 10 Febbraio 1947: il patto di resa con cui i Paesi alleati, trionfatori dell’ultima guerra mondiale, spezzarono le unghie al nemico sconfitto. Né più né meno il medesimo trattamento che un mondo alfabetizzato dovrebbe riservare oggi all’aggressore russo. Con quegli accordi, l’Italia non soltanto fu obbligata a restituire i territori militarmente conquistati in Francia, Jugoslavia, Grecia, ma dovette aggiungerne di propri, annessi alla Francia, alla Jugoslavia, all’Albania, alla Grecia, alla Cina (Tientsin), alla Gran Bretagna (colonie d’Africa). Al medesimo trattamento dovettero sottostare Ungheria, Romania, Bulgaria e Finlandia, indebitandosi anch...