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Asini e Cavalli

Nonostante la schiacciante affermazione dei partiti antifederalisti in Italia (oltre il 90%) abbia indubbiamente segnato una battuta d’arresto nel processo costitutivo di uno Stato Federale Europeo, il ribaltone elettorale francese ha provvidenzialmente rimescolato le carte finendo col disegnare un quadro di sostanziale continuità, con Ursula Von Der Leyen confermata presidente del Consiglio – con 401 voti a favore, 284 contrari, 15 astenuti – e l’avvocato Roberta Métsola a capo del Parlamento, con 562 schede su 623 valide. 

La marcia riprende dunque con le medesime guide, ma la cordata è assai più impreparata e litigiosa. In particolare il piccolo ma burrascoso gruppetto degli Italiani. E questo mentre la strada si fa sempre più in salita. 

Una cosa è chiara: coi soli trattati non si va da nessuna parte. Persino l’ONU (l’altra Unione di cui l’Italia fa parte) mai come oggi appare tanto ininfluente e disattesa nelle sue pronunce. Che tali sono e tali resteranno, senza uno Stato alle spalle in grado di convertirle in legge.  

L’Unione Europea, a differenza dell’ONU, coinvolge sì un numero minore di Stati (europei e non, repubbliche e monarchie) ma neanch’essa dispone del potere di scriver leggi ed applicarle: compito demandato ai parlamenti dei singoli Stati membri. I quali, anche nei rari casi in cui mostrino unanimità d’intenti, necessitano comunque di tempi lunghissimi prima di veder messe su carta le direttive europee.

Quei tempi lunghissimi, gli Stati europei non possono più permetterseli. 

Il mondo ha preso a camminare assai più veloce dell’Unione Europea, e le carte si danno in Cina, in India, in Africa. Non più a Washington, Parigi o Berlino.

Con una guerra d’aggressione ormai ben oltre i confini, e quotidiane minacce rivolte all’intero Occidente, l’Unione si scopre sostanzialmente disarmata, priva com’è di armamenti moderni e quasi completamente smilitarizzata dalla Brexit, che s’è portata via due terzi dell’arsenale nucleare e la gran parte delle basi militari all’estero. E tanta impotenza ha un costo superiore a quanto necessiterebbe per mantenere un vero esercito federale, con armamenti compatibili ed una sola linea di comando. 

Ci si affida ancora alla NATO, accordo difensivo ormai settantacinquenne che neppure sarebbe consigliabile mettere oggi alla prova, con Stati membri non del tutto allineati, come la Turchia, ed altri in via di progressivo disimpegno, come gli USA. 

Ma se anche la NATO fosse lesta a reagire quanto nei suoi anni migliori, sarebbe pur sempre lenta a fronte della rapidità decisionale di Stati dove il comando sta nelle mani di un sol uomo. Ancorché ubriaco. Ancorché pazzo. 

O l’Europa si fa Stato, o non potrà funzionare, è stata la facile profezia i Mario Draghi. Una profezia che contiene molte, troppe, verità. 

L’Unione Europea non ha una moneta comune (l’Euro lo adottano soltanto quei Paesi – europei e non – membri dell’Eurozona), non ha confini comuni (i confini son quelli dell’Area Schengen, di cui fan parte altri Paesi – europei e non). Ma, soprattutto, non ha uno Statuto, un organo legislativo, un organo governativo, un organo giudiziario, una fiscalità condivisa, percorsi scolastici comuni, una lingua ufficiale, una politica estera, una difesa. 

Di fronte a tante carenze, gli Asini chiedono di accelerarne la demolizione e restituire potere agli Stati nazionali, per poi meglio asservirsi ai nuovi e vecchi padroni del mondo; i Cavalli chiedono di serrare le file e correre più veloci di quegli Orsi e di quelle Tigri che li inseguono e li minacciano. 

Dispiace veder gli Italiani schierati in massa dalla parte degli Asini, ma è un piccolo problema: in gioco c’è l’Europa, non solo l’Italia, ed un’Europa senza l’Italia potrebbe anche essere un’Europa migliore. 

Quel che invece è certo, è che un’Italia senza l’Europa non può sopravvivere a lungo. 

Se in passato una lira svalutata poteva rendere appetibili in Francia o in Germania i prodotti italiani, oggi ci sarebbe da competere con le scarpe cinesi, il cotone indiano, i legnami africani. Per non parlare dell’elettronica o degli elettrodomestici, che l’Italia neppure più produce. Ed è una lotta impari: in termini di quantità, qualità, varietà, prezzo.

C’è da rimboccarsi le maniche. La dolce vita a debito non può durare in eterno. 

C’è da produrre ricchezza, ordine, unità e sicurezza: un’identità europea che raccolga sotto una sola bandiera Stati certamente diversi e lontani, ma non più di quanto non lo siano il Texas da New York, la Florida dall’Alaska, il West Bengala dal Kerala, il Chiapas dalla Baja California.

C’è da costruire lo Stato Federale Europeo. E va costruito adesso. Con chi ci crede e con chi ci sta. 

Ieri è già troppo tardi. E un domani non è più così certo che ci sia.  

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