La cosa sorprendente è che gli elettori l’hanno capito, ed in massa disertano i comizi: affollati soltanto nelle fantasiose riprese ipergrandangolari delle reti televisive amiche.
Il mondo è alla vigilia di una lunga stagione di guerre, ma tutto quel che l’opposizione riesce a proporre agli elettori è il consueto armamentario cattolico francescano del «tutto per i poveri». O meglio – in occidentale assenza di veri poveri – per i «meno abbienti»: proprietari sì, ma non troppo.
A seguire, non una lista di proposte utili e lungimiranti per il futuro del Continente, ma l’elenco marcato con matita rossoblù dei molteplici quanto imperdonabili errori commessi dalla parte avversa (la quale, per definizione, non solo può, ma deve parlare e comportarsi in maniera opposta). E buffo è il fatto che, anziché esultare di gioia per le tante castronerie poste in essere da siffatto nemico, quell’impalpabile opposizione pare invece dolersene e preoccuparsene: come una mamma che veda il figlioletto metter le dita nel naso e, lungi dal sorriderne e correggerlo col buon esempio, se ne lamenti in pubblico ricoprendolo di contumelie e male parole.
Se un simile atteggiamento può tuttavia considerarsi tollerabile in una scompaginata forza d’opposizione principalmente intenta a coltivare con profitto i propri orticelli, e poco disposta ad intraprender battaglie che vadano oltre il salario misero o la moltiplicazione dei generi, certamente non può esserlo in una forza di governo che tradisce il proprio mandato impegnando in prima persona i propri ministri in una competizione elettorale che li vede partecipare in veste di parte in causa, piuttosto che di arbitri e garanti.
C’è un’insanabile contraddizione nel fatto che a un medesimo individuo sia consentito, in Italia, di far parte tanto del potere esecutivo che di quello legislativo, minando in tal modo quella separazione dei poteri fortemente voluta e sancita dalla Costituzione.
Molto si è detto dell’inopportunità, se non di vera e propria incompatibilità, tra l’appartenenza alla Magistratura e la nomina a parlamentare o ministro. Molto oggi si agisce per riconoscere l’incompatibilità, all’interno della stessa Magistratura, tra funzione inquirente e funzione giudicante. Nessuno pare invece indignarsi del fatto che un membro del Governo possa esserlo anche del Parlamento, e tanto meno che quel medesimo possa occupare posizioni di vertice all’interno di un partito, impegnandosi in tal modo a servire contemporaneamente una sola parte e, a suo dire, l’intera Nazione.
Si tratta di una contraddizione che una stampa amica, un’opposizione inetta ed un comportamento prudente potrebbero forse aiutare a mantener sottotraccia, in tempi di pace (politica), ma che è inevitabilmente destinata ad esplodere in tempi di guerra (elettorale).
Fa un certo effetto ritrovare oggi nel centro di Roma, nella sguarnita Piazza di un mai così ristretto Popolo, una donna, una madre, una cristiana che, smessi i composti panni da presidente del Consiglio, pacata interlocutrice dei leader del mondo, rispolvera la giacchetta e i jeans dell’arruffapopoli, innalza la voce fino a render superflui i microfoni e tinge ogni strillo dei colori accesi di un vittimismo a dir poco ingiustificato.
Vittima di chi? Vittima de che? Forse dalla «rabbia e cattiveria dei nostri avversari più livorosi»? Di una «sinistra» il cui «personale destino vale di più di quello di tutti gli Italiani messi insieme»? Del candidato lussemburghese Nicolas Schmit, che osa definirla «antidemocratica»? Dell’inimica Schlein, pubblicamente sfidata a schierarsi in sua difesa, perché non condanna la narrazione europea di un’Italia dipinta «come una nazione in cui le libertà vengono negate, i diritti compressi e lo stato di diritto è praticamente sospeso»?
Dimentica, il ministro trasformato in comiziante, ancorché membro in carica del Consiglio Europeo, che la politica portata avanti tanto dal suo governo – una parte del quale chiede a gran voce «Più Italia, meno Europa» – come dal suo partito, ha bloccato il MES mettendo a rischio la credibilità dell’Eurozona e il valore stesso della moneta comune?
Neppure pensa di doverne in qualche misura pagarne il conto. Neppure a parole. Neppure quelle di aperta disapprovazione di un lussemburghese candidato come lei ad un Parlamento di cui ella non potrebbe comunque in alcun modo far parte.
Troppo comodo alternare secondo il bisogno i panni eleganti del dottor Jeckill e i puzzolenti stracci del mister Hyde, antica scappatoia-truffa dei partiti «di lotta e di governo», come se occupare i binari del treno o portarlo a destinazione fossero due differenti aspetti del medesimo mestiere.
È giunto forse il tempo di adeguarsi al dettato costituzionale della separazione dei poteri, di stabilire per legge l’incompatibilità tra le funzioni di parlamentare, di ministro e di magistrato. E statuire quanto meno l’inopportunità che un parlamentare, un ministro o un magistrato possano nel mentre occupare una posizione di vertice all’interno di un movimento o di un partito.
Non vorremmo esser più costretti a vedere un ministro del governo umiliarsi abbassandosi al rango di un capopartito, e neppure un capopartito elevarsi allo status di parlamentare, di ministro o di magistrato. Senza prima dimettersi da un ruolo che lo qualifica come devoto non agli interessi dell’intera Nazione, ma a quelli di una sola parte.
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