Il cartellino rosso, stavolta, è toccato a Marion Anne Perrine Le Pen, presidente del neofascista Rassemblement National e figlia d’arte di Jean-Marie Le Pen, fondatore del Fronte Nazionale. E ad insorgere son stati i neofascisti di tutte le curve di tutte le destre, dal crudele dittatore russo fino ai più accreditati ladroni e ladruncoli d’Europa e d’Italia.
Arbitro cornuto anche la magistratura americana, quando ha dato seguito al decreto di grazia della dittatoriale presidenza USA che ha salvato le chiappe ai criminali protagonisti del sanguinoso assalto al Parlamento, durante il tentato golpe del 2021?
Tanto nel primo che nel secondo caso, l’arbitro non ha fatto altro che il proprio dovere: applicare quella legge che il Parlamento scrive ed il Governo rende esecutiva.
Senza un arbitro rispettato da entrambe le parti, non esiste gioco. Perché ogni gioco – qualsiasi gioco – ha le proprie regole. Persino le mafie e le bande criminali, come le più selvagge tra le tribù, si danno delle regole. Ed anch’esse puniscono chi non le osserva. Ancor più (e possibilmente meglio) è dunque tenuta a farlo una Nazione.
Tocqueville considerava a dir poco sacra la magistratura americana, unica possibile supplente di quella aristocrazia che gli USA non avevano mai conosciuto. Dunque la sola possibile custode della tradizione. Non a caso, in tutti gli Stati dell’Unione, le sentenze fanno giurisprudenza.
Ma la legge americana prevede la possibilità di grazia, non solo per i cinquanta capi di Stato, ma anche per il Presidente federale. Che può anche sbagliare. Ma non per questo sbaglia la magistratura, tenuta ad osservarne il decreto. Per quanto ingiusto.
Allo stesso modo, il Presidente francese avrebbe il potere di graziare la colpevole Le Pen, ma se ne guarda bene. Per due motivi: il primo è che non è stata ritenuta responsabile di un crimine politico, ma di un volgare crimine comune; il secondo è che vittima del ladrocinio non è stata la Francia, ma l’Unione Europea. Che dalla Francia si attende dunque non solo un ristoro del maltolto, ma anche quel dovuto rispetto che compete a uno Stato membro.
Senza una grazia presidenziale, la parola resta all’arbitro. Destinato ancora una volta ad indossare quel cornuto copricapo che non il Paese, ma la parte (giustamente) punita vorrebbe (ingiustamente) imporgli.
Fortunatamente, uno stadio non è fatto di sole curve, ma anche di tribune centrali, meno capaci ma assai meglio frequentate, capaci di ragionare con la testa e non con la pancia. Che sul capo dell’arbitro sanno riconoscere la corona della Giustizia, anziché l’elmo vichingo dei barbari.
Guai, se non ci fossero.
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