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I mulini e il vento


Si sveglia e insorge il presidente di uno dei due rami del Parlamento: quello che di norma se la dorme e se la russa. 

Indossa l’elmo, imbraccia la lancia, innalza lo scudo. 

Che è successo? È successo che il suo nome è comparso, insieme a quello di centinaia di migliaia di Italiani, in un traffico (a pagamento) di dati personali e riservati raccolti da un’agenzia investigativa privata e pronti ad esser rivenduti in forma di ricatti o di denaro: due valute equamente convertibili. 

Un «dossieraggio», come un ardito neologismo lo definisce.

Quel che tuttavia consegue l’effetto di render l’illustre vittima assai simile ad un vano quanto poco temibile donchisciotte, è l’inconsistenza del bersaglio contro cui egli con tanto animo si scaglia: la stampa, i «giudici», l’opposizione, le «sinistre»... 

Tutti! Tranne il Governo, che di tutta la vicenda, invece, per quanto incolpevole è comunque per sua stessa natura responsabile. 

Lo è perché è mestiere proprio del Governo (esecutivo) quello di rendere esecutive le leggi, trasportandole nel modo più rapido ed efficace dall’inconsistenza della carta alla consistenza della vita reale.  

Il potere legislativo ha fatto bene la sua parte: di leggi che tutelano la riservatezza delle persone ne ha scritte a centinaia, e da tempo. 

Il potere giudiziario ha svolto anch’esso al meglio il proprio ruolo, indagando e perseguendo chi quelle leggi le ha infrante. 

Solo il potere esecutivo non ha fatto appieno il proprio dovere, occupato com’è a tentar di sostituirsi al Parlamento nello scriver da sé le leggi come più gli aggradano, e a svuotar dei suoi compiti la Magistratura. Nella speranza di poter sostituire un giorno anche quella. 

Se dunque due delle prime istituzioni han funzionato a dovere, ma non così la terza (il governo), perché il generoso condottiero non rivolge in quella direzione i suoi minacciosi strali? 

Sarà forse perché i tre poteri non son oggi così separati come Costituzione impone? O perché la legge del partito vale più di ogni altra legge, italiana, europea o planetaria che sia? Cos’è che gli offusca lo sguardo e gli lega le mani, spingendolo a indirizzare ancora una volta i bellici istinti verso un nemico immaginario? Verso i mulini a vento, se non addirittura contro il medesimo vento (che pure sembra spirare più da destra che da sinistra)? 

Il Governo, dalla sua, incapace com’è di ammettere le proprie inefficienze, reagisce con l’augurio «che la Magistratura vada fino in fondo» (ma non era «il cancro della Nazione»?), mentre i partiti chiedono «nuove norme»: nuove leggi destinate a restare anch’esse carta su carta, senza un Governo che sappia tradurle in atti ed in fatti. Inutili baubau che impegnano la bocca per impedirle di mordere. 

Eppure la questione è semplice: se fuga di dati c’è stata, una porta aperta deve averla trovata. E le porte non si aprono da sole: o c’è qualcuno che le forza dall’esterno («Equalize», l’agenzia investigativa che rivendeva i dati?) o c’è chi le socchiude dall’interno (quel medesimo Governo che avrebbe dovuto impedirlo?).

O la colpa è invece da ascrivere, come il ronfante presidente della prima Camera sostiene, ad «un certo tipo di inchieste, di trasmissioni televisive [che] costruiscono tesi e teorie, storie che a volte si basano sul nulla, ma contro le quali non c’è diritto di difesa»? Ad una stampa e a una tivù che in Italia son schierate all’80% con la destra, inclusa la televisione di Stato?

Don Quijote de la Mancha (quello vero) non avrebbe saputo dir di meglio. 

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