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Quando il Grillo canta

Frinire o finire? Questo è il dilemma. Se dar fiato alla propria flebile voce, alla vigilia di un possibile confluenza dei Cinquestelle nella crescente pozzanghera del campo largo, per poi rimpadronirsi del partito, o starsene invece buoni all’angolo, abbeverandosi dei trecentomila annualmente versatigli quale compenso per il suo utile quanto gradito silenzio.

Stecchito sul nascere il tentativo di dar vita ad una nuova religione (la «Chiesa dell’Altrove»), ispirata dalla divina constatazione che, mentre i partiti debbono limitare i loro appetiti alla speranza di un misero 2‰, le chiese possono invece aspirare a un più corposo 8‰, il ligure ortottero ha dichiarato guerra all’attuale tenutario della formazione politica da lui creata a prezzo di tanti vaffa: quel Conte di nome, ma non di fatto, che ne sta oggi a capo. 

Oggetto del contendere è il movimento stesso, di cui il fondatore rivendica la proprietà tanto del nome che del marchio, così come di ogni altro diritto paterno. Tra cui l’osservanza delle originarie regole, a cominciare dal limite massimo dei due mandati elettorali. 

La risposta dei figli, ormai adulti, è stata un netto quanto sdegnato rifiuto, insieme al rinvio di ogni decisione ad un convegno prossimo venturo. 

La reazione dell’insetto è stata una furibonda lettera pubblicata sul blog da lui gestito, dal suggestivo titolo: «La politica non è l’arte di imporre soluzioni migliori ma impedire le peggiori». 

Forse in modo del tutto involontario, quel titolo, pur nella sua fallacia, magnificamente incarna l’essenza del problema, sintetizzando in poche parole tutto quel che differenzia un movimento da un partito. 

Un movimento nasce sempre contro qualcosa: che sia la TAV o una bassa retribuzione, un diritto negato o un vaccino temuto. Non indica una via, ma si limita a mostrare le buche sulla strada. La sua strada. Diversa da tutte le altre, così come tanti e diversi sono i movimenti presenti nella scena politica internazionale. 

Un partito nasce invece per qualcosa. Per raggiungere un obiettivo posto al termine di una via che i suoi adepti s’impegnano a percorrere. Una linea politica che affronta tutti gli aspetti del vivere comune, anziché uno soltanto. 

Non pochi son stati i movimenti poi trasformatisi in partiti, come quei Fasci Italiani di Combattimento, nati nel 1919 a Milano, in Piazza San Sepolcro, e poi costituitisi nel 1921 – con idee e programmi ben differenti – in Partito Nazionale Fascista. 

«Impedire le soluzioni peggiori» non è il mestiere dei partiti, ma di quei movimenti nati proprio per combatterle, quelle sgradite soluzioni. 

La ricerca delle «soluzioni migliori» è invece il fine dichiarato di ogni partito. «Migliori» secondo le idee dei loro elettori, per definizione «di parte». Idee tuttavia mediate in sede parlamentare con quelle – spesso opposte – sostenute da altri partiti concorrenti.  

Questo è dunque il motivo del contendere: se il movimento fin qui denominato Cinquestelle debba o meno trasformarsi in un partito. E, in quanto tale, misurarsi e dialogare con altri partiti. Oppure combattere in solitaria le proprie battaglie. Contro e non per qualcosa.  

Chi vincerà tra movimentisti e costituenti sta scritto da tempo nella Storia. Dove molteplici sono gli esempi di movimenti che han saputo evolversi in partiti, ma non ve n’è alcuno di partiti regrediti a movimenti (sebbene non pochi, in particolare nel piddì, lavorino alacremente in quella direzione...).

Grillo perderà la sua battaglia. Forse anche la genitorialità. Con buone probabilità, chissà, anche i trecentomila...

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