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«Mobile» sì, ma non «auto»

Non esiste l’«auto elettrica». Esistono i «veicoli elettrici». Ed esistono da più di un secolo: dai primi tram col trolley fino alle macchinine dell’autoscontro. 

Quel che accomuna ogni mezzo elettrico, al momento, è la mancanza di autonomia: ciò che impedisce ad essi di potersi definire a tutti gli effetti auto-mobili: ossia mezzi in grado di muoversi autonomamente

Il percorso del tram è imposto dal tracciato del cavo e dai binari, quello della giostra dalla trama dei fili elettrici nel soffitto e dal pavimento metallico, quello del veicolo stradale elettrico dalla durata della batteria. Che può variare in modo determinante se la si usa non solo per muoversi, ma anche per alimentare i fanali, l’aria condizionata, il riscaldamento, il navigatore, il frigo di bordo, la radio... Utilities che possono ridurre l’autonomia del veicolo a meno di un quarto di quella ufficialmente dichiarata. 

Corollario di questa elementare osservazione è il fatto che nessun veicolo elettrico è al momento in grado di sostituirsi all’automobile, e neppure può legittimamente definirsi tale. Non più delle vecchie carrozze a trazione animale, anch’esse bisognose di frequenti soste per nutrire e far riposare i cavalli, o per sostituirli. 

Ciò non toglie che il veicolo elettrico, con tutte le accennate limitazioni, non abbia una ragione d’esistere. 

Ieri il tram, oggi la metro, ma anche i treni elettrici, hanno certamente un senso. Muovendosi su percorsi prestabiliti possono alimentarsi direttamente dalla rete, senza quelle limitazioni che l’uso delle batterie comporta. I tram cittadini migliorano la qualità dell’aria e i treni possono viaggiare interrati senza saturare di fumi le gallerie. Su percorsi limitati e prestabiliti i veicoli elettrici possono rivelarsi agili e preziosi, come da tempo lo sono le macchinine sui campi da golf. I veicoli cittadini destinati alla raccolta dei rifiuti o alle consegne a domicilio, non soffrono della limitata autonomia. Così come le vetture utilizzate dai pendolari per spostarsi quotidianamente su brevi percorsi lavoro-domicilio. O i trenini gommati che muovono i bagagli in aeroporto.  

Ma è immaginabile un’ambulanza elettrica? O un’auto della polizia che rinunci a un inseguimento perché ha la batteria a secco? O un taxi urbano obbligato a sostare diverse ore al giorno anziché circolare e produrre? Vedremo mai battaglie combattute da carri amati elettrici, capaci di radere al suolo intere città ma attenti a salvaguardare la qualità dell’aria? Potranno mai accontentarsi della limitata potenza del motore elettrico un trattore, una ruspa, un grande autoarticolato? È pensabile un aeroplano intercontinentale tenuto in volo dalla debole e limitata forza dell’elettricità? 

Certamente no. E infatti il progetto di transizione energetica avviato in Europa e in alcuni Stati americani è centrato solo ed esclusivamente sull’automobile, escludendo i mezzi pesanti. E non proibisce in alcun modo la fabbricazione o la vendita di veicoli alimentati da combustibili fossili ma ne vieta soltanto, alla data stabilita (2035), l’immatricolazione. 

Le auto esistenti continueranno a circolare, come peraltro già fanno i tanti veicoli d’epoca classificati come «storici»: seppure oggi rigorosamente fuori norma, privi come sono di airbag, di fanaleria in regola, di cinture di sicurezza e d’altre dotazioni altrimenti obbligatorie. 

Motori a scoppio e veicoli elettrici convivranno a lungo, coniugando il meglio delle loro qualità così come avviene negli attuali mezzi ibridi: veicoli che producono da sé, con piccoli motori a scoppio, l’energia elettrica necessaria a garantirne l’autonomia. Al medesimo modo, d’altronde, han sempre funzionato i sommergibili di vecchia generazione: motori diesel in emersione che ricaricano le batterie impiegate durante l’immersione. 

Sbaglia, quindi, chi diffonde ingiustificati allarmismi. Nessuno impedirà la circolazione delle vecchie auto diesel o a benzina, e nessuna grande fabbrica chiuderà bottega. Non soltanto perché gran parte della produzione, da tempo spostatasi in Europa da Ovest a Est, avviene oggi in India, in Sud America e in Estremo Oriente, dove nessuna limitazione esiste, ma perché chi costruisce motori a scoppio potrà continuare a farlo per dotarne quei veicoli pesanti impossibili da alimentare elettricamente.

Spetterà a noi far sì che la transizione sia quanto più possibile indolore. E agli Stati provvedere all’elettrificazione di quelle linee ferroviarie urbane ed extraurbane che ancora non lo sono. Tecnologie collaudate e di vecchia data ma ancora solo in piccola parte utilizzate. 

Tenendo tuttavia sempre presente che di solo elettrico non si vive, e non si vivrà. Occorreranno nuovi carburanti puliti, come lo è oggi l’idrogeno, ma più facilmente stoccabili e distribuibili. E nuove fonti di energia. 

Non è e non sarà un problema di «industria», ma di conoscenza e di ricerca. 

L’elettricità è il vecchio. C’è da inventare il nuovo. 

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