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Confini & Salvini: sette infinite panzane

1. Il ministro ha impedito lo sbarco dei naufraghi per proteggere i confini dell’Italia. 

Falso. Sbarcare in banchina non significa varcare i confini dell’Italia, come ben sa qualsiasi crocerista o chiunque scenda dalla scaletta di un aereo. 

Per entrare in Italia occorre oltrepassare la barriera doganale, là dove un ministro efficiente effettua uno scrupoloso controllo dei documenti personali e dei visti d’ingresso.

Nessuno avrebbe dovuto impedire di toccar terra ai naufraghi raccolti in mare, fermo restando che l’eventuale ingresso in Italia sarebbe stato consentito solo se in possesso dei requisiti indicati dall’art. 5 della Convenzione di Schengen. O in virtù di possibili permessi umanitari in deroga concessi di propria iniziativa dallo Stato italiano, come da comma 2 del medesimo articolo. 


2. Un ministro è eletto dal popolo. 

Falso. Il popolo elegge i membri del Parlamento: carica rappresentativa e non retribuita. I ministri non sono eletti da nessuno, ma nominati dal Capo dello Stato e destinati a svolgere compiti esecutivi. Per i quali, a differenza dei parlamentari, vengono retribuiti con uno stipendio commisurato a quello degli alti magistrati. 


3. Un ministro conta in ogni caso più di un magistrato.

Falso. Un ministro, un parlamentare e un magistrato debbono a tutti gli effetti considerarsi come dei pari grado, in quanto membri di una delle tre istituzioni che incarnano ciascuna uno dei tre poteri dello Stato: esecutivo, legislativo e giudiziario. Poteri separati, ma paritari.


4. Un giudice che indaga un ministro non è imparziale. 

Guai se lo fosse. L’imparzialità è una qualità richiesta al magistrato giudicante. Non al magistrato inquirente che, al contrario, è tenuto a schierarsi dalla parte del querelante a danno del querelato. O si asterrebbe dal chiederne il rinvio a giudizio. Se poi il ministro è anche parlamentare, un’ulteriore autorizzazione a procedere dovrà esser concessa dalla Camera di cui egli è membro. Superata questa doppia garanzia, spetterà al magistrato giudicante stabilire se sia stata o meno violata la Legge.  


5. C’è un intento persecutorio nei confronti del ministro. 

Falso. Si perseguono i reati, non le persone. Se il reato non esiste, neppure può esistere una persecuzione. Né contro il reato, né contro di chi, con ragionevole certezza, può dimostrare di non averlo commesso.


6. Ma la Giustizia in Italia è lenta e non funziona, e la lunghezza dei processi è già una punizione in sé. 

Nessuno intende negare che la durata delle procedure giudiziarie, in Italia, sia di gran lunga superiore a quella di ogni altro Paese dell’Unione. Ma non spetta alla Magistratura il compito di far funzionare la Giustizia, che non è fatta soltanto di magistrati ma anche (e soprattutto) di personale ausiliario, di edifici, di strumenti, di norme procedurali. È dovere del governo, nella persona del ministro a ciò preposto, garantire la massima efficienza dell’intero sistema giudiziario.   


7. Il ministro è pronto ad aizzare il popolo, se necessario, affinché si schieri a suo favore. 

Può anche rifornirlo di armi, se crede. Ma non sarebbe Giustizia. Sarebbe piuttosto un linciaggio al contrario. Perché uccidere senza processo un accusatore non è poi così diverso dall’uccidere senza processo un accusato. Sarebbe la negazione stessa della Giustizia. In un mondo civilizzato prima si discutono e si esaminano testimonianze e prove. Poi, eventualmente, si punisce. E non in base a un’estemporanea spinta emotiva, ma secondo quel che detta la Legge. 

La quale Legge, in Italia, non viene dettata dai capricci di un re, di un imperatore o di un papa, ma è scritta di pugno dagli Italiani medesimi. E quand’anche non dovesse rivelarsi giusta ed efficace, gli stessi Italiani hanno nelle loro mani il potere di cambiarla. 

Ancor più facilmente quando in Parlamento siedono in maggioranza.  

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