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Scudo spaziale

Se di leggi ad personam s’è spesso sentito parlare, nel Paese dei nostri stivali, mai definizione fu più appropriata se riferita alla norma sulla protezione totale (ogni riferimento balneare Papeete style è casuale) che il ministro Matteo Salvini si appresta a cucire a misura delle poco atletiche spalle del dimissionario presidente ligure Giovanni Toti. 

L’idea è quella di dar vita a una sorta di immunità civile e penale a trecentosessanta gradi, per poi farne omaggio a tutti i presidenti di Giunta regionale. 

Per motivare l’urgenza di tanto auspicata impunità, forse studiata per dar tempo al malfattore di porre in salvo il bottino, si rimarca l’indiscutibile fatto che un presidente di Giunta è stato «eletto»,  conquistando nelle urne un voto in più dell’avversario. E tanto basta per conferirgli superpoteri d’origine divina 

L’assurdità di una simile proposta sta tutta in due inconfutabili considerazioni. 

La prima è una mistificazione linguistica (targata Berlusconi) che sta alla base della norma e che consiste nell’incongrua usanza di chiamare «governatore» il presidente della Giunta regionale. Che ovviamente «governatore» non è, dal momento che un vero governatore è a tutti gli effetti un capo di Stato, con poteri di grazia e pieni poteri esecutivi sul territorio amministrato. 

Il presidente della Giunta regionale, invece, «rappresenta la Regione; dirige la politica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica» [art. 121 c. 4 Cost.].

Si tratta dunque di una figura istituzionale di natura principalmente amministrativa, e non politica: limitata com’è nelle scelte, che non possono discostarsi da quelle del governo centrale. 

Se di carica amministrativa allora si tratta, sorge immediata la seconda considerazione: per qual motivo un amministratore pubblico dovrebbe godere di particolare privilegi rispetto ad un amministratore privato? 

Entrambi amministrano denari altrui, con la differenza che mentre il corretto operare di un amministratore privato, sia egli a capo di un condominio o di un consiglio d’amministrazione, è continuamente sottoposto al vigile controllo degli amministrati, che si riservano il diritto di cacciarlo e sostituirlo al primo segno di cattiva gestione, l’amministratore pubblico ha invece come solo ed unico controllore la Magistratura. 

Togliere alla Magistratura il potere-dovere di perseguire un amministratore pubblico infedele, significa concedere ai pubblici amministratori una licenza perpetua di dedicarsi a qualsiasi malaffare, impunibile solo perché commesso da un «eletto».

Ma anche gli amministratori di condominio e quelli societari – guarda un po’– sono stati regolarmente eletti. Forse con criteri persino più stringenti di quelli che regolano il suffragio universale. Ma nessuno si sognerebbe di affidare ad essi i propri denari, se li sapesse impunibili di fronte alla legge. 

Al medesimo modo, chi paga tutti i mesi l’Ente regionale per poter godere di un sistema sanitario efficiente, transitare su strade asfaltate, viaggiare con trasporti pubblici puntuali, ma non riceve in cambio alcuno di quei servizi puntualmente ed oltremisura pagati, perché non dovrebbe poter esercitare il medesimo diritto di conoscere in quali tasche siano finiti i loro denari e veder allontanato il responsabile della malversazione? 

Dopotutto, quegli amministrati altro non chiedono che una Legge che sia davvero uguale per tutti. Anziché diversa per alcuni. E non certo i migliori. 

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