Passa ai contenuti principali

Sfilate di moda

È pronta la passerella elettorale del Parlamento Europeo, sulla quale si apprestano a sfilare i modelli disegnati da un’assortita schiera di partiti-stilisti. 

Si va dalla moda stracciona (stracciare l’Europa con le unghie e con i denti) a quella griffata dei cultori del brand, che ostentano sul logo il nome dell’indossatore di punta e il più o meno sincero pay-off della casa («#pace»). 

Intenti a lustrare ciascuno i propri lustrini, quel che accomuna i creatori in lizza è l’assenza di ogni proposta sul tema. Ansiosi di abbronzarsi sotto la luce dei riflettori, a caccia di un microfono nel quale parlare soltanto di sé stessi, nessuno pare interessato al vero argomento della sfilata: il futuro di un Continente ancora disunito, incapace di darsi quella dignità di Stato che sola gli consentirebbe di prender posto a pieno titolo nel consesso internazionale: forte, sicuro, ascoltato, ammirato, rispettato, propositivo. 

Quattrocentocinquanta milioni di Europei – fino a qualche anno fa il 25% degli abitanti del pianeta – si avviano nel prossimo secolo a rappresentarne sì e no il 5%. E neppure quello più ricco, più sviluppato, più sicuro. 

Occorre fortificarsi. E non innalzando grandi muraglie, come usava nell’antichità, ma coltivando quel piccolo seme di unità politica fino a darsi uno statuto comune, una moneta comune, una politica estera comune, una difesa comune: un’autentica veste di Stato con poteri legislativi, esecutivi e giudiziari sulle materie di interesse condiviso. Quegli «Stati Uniti d’Europa», per usare una definizione comprensibile ai più, che solo un piccolo stilista di nicchia pare volersi ostinare a presentare in passerella. Unico controcorrente fra tanti più interessati a rimirarsi nello specchio che non a suggerire qualche percettibile segno di novità.

Eppure un nuovo eroe di Calatafimi, che da mesi va ripetendo il suo «Qui o si fa l’Europa o si muore», l’Unione ce l’avrebbe anche nella persona di un Mario Draghi, pronto a spendersi per far del continente uno Stato. Ma è un indossatore forse troppo elegante, per quei modisti che amano farsi chiamare stilisti pur ignorando cosa sia lo stile: confondendo lo stile con la moda, che ne è invece l’esatto opposto. 

«Moda» è qualsiasi usanza (buona o cattiva) che la massa ama far propria, uniformandosi e conformandosi; «stile» è il positivo modello di comportamento che un singolo riesce ad imporre alle masse. 

Lo stile compete al divo, la moda a chi con lui si identifica. Ai suoi fan.

Quanti partiti vedremo sfilare a Giugno desiderosi di imporre uno stile, piuttosto che di accodarsi al pessimo gusto di certe mode, sempre più spesso insulse o deleterie? Retrovie di sempre più smagriti e inefficaci eserciti, piuttosto che condottieri in testa alle truppe?

Lo si vedrà (e misurerà) tra poco di più di un mese.     

Commenti

Post popolari in questo blog

Elogio del «Non ancora!»

Se solo gli umani sapessero quanto tutto quel che più li preoccupa appaia più chiaro, visto da quassù!  C'è voluta qualche decina di migliaia di anni prima che i terrestri accettassero l'idea che la Terra fosse tonda (e molti ne restano ancora da convincere). A noi, da quassù, è sufficiente affacciare il naso  fuori  dalla nuvola per osservare il pianeta ruotare maestoso nel cielo.  Allo stesso modo ci stupiamo nel vedere i suoi abitanti consumare in sterili diatribe buona parte delle loro altrimenti fortunate esistenze.  Ed è buffo che spetti a noi, che vivi più non siamo, insegnare come vivere ai viventi!  Non meravigliatevi dunque se tra i nostri compiti vi è anche quello di elargire di tanto in tanto qualche angelico consiglio.  Il suggerimento di oggi è che gli umani aboliscano definitivamente l'uso del SÌ e del NO. Causa prima e perniciosissima di gran parte dei loro mali.  Dicono i Romani (queli de Roma, no' queli de Caligola): «Con un SÌ ti impicci, con un NO ti

La Quarta Europa

Mentre dalle frontiere ucraine i venti di guerra bussano prepotentemente alle porte, l’Unione Europea – o, per meglio dire, alcuni degli Stati membri, in particolare la Francia – avvertono l’urgenza di rafforzare la difesa europea, più che dimezzata dopo la Brexit e frantumata in 27 eserciti che non comunicano tra di loro. Uno solo dei quali (quello francese) dotato di armamenti moderni e basi all’estero, ed altri – come in Italia e in Germania – ancora limitati dai trattati di pace del 1947. A voler parlar sinceramente, una vera Difesa Europea non esiste. Esistono eserciti nazionali, mal coordinati ed in diversa misura armati. Forse capaci di distinguersi in circoscritte missioni di pace o di ordine pubblico, ma non certo in grado di rispondere in modo efficace alle crescenti minacce di una o più grandi potenze nucleari.  Come di fatto in questi giorni avviene.  Esiste una NATO, certo: un’alleanza difensiva sovraeuropea mostratasi in grado di proteggere il continente per un tempo fin

Dieci sconfinate menzogne

1) Le frontiere fra nazioni non hanno più alcuna ragione di esistere. Chi davvero lo pensa, dovrebbe per coerenza lasciare aperto di notte il portone di casa.  Quel che fa di un edificio un’abitazione son proprio le presenze umane che lì ci vivono, e il portone di casa è il limite che segna il confine tra il mondo di dentro (tendenzialmente amico) e il mondo di fuori (tendenzialmente nemico).  Starsene in casa propria non significa però autocondannarsi agli arresti domiciliari. Il portone lo si apre più d’una volta: per accogliere le persone gradite che vengono a farci visita, ma anche chi lo varca per ragioni di lavoro, dal portalettere all’idraulico. Talvolta anche per il mendicante che bussa alla porta in cerca di qualche elemosina.  Resta però ben chiuso di fronte a chi pretende di entrarvi di nascosto e con la forza. Peggio ancora se nottetempo, dal balcone o dalle finestre.  C’è un campanello. Suonarlo significa chiedere il permesso di entrare. Concederlo o meno, resta una prerog