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Le tasse? Ai fessi

Il principio su cui si fonda la fiscalità in Italia è succintamente riassunto nelle tre righe dell’art. 53 in Costituzione: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».

Dove «tutti» significa (significherebbe) chiunque; «capacità contributiva» sottintende un importo commisurato al reddito o alla rendita, piuttosto che alla proprietà; «progressività» indica una maggiore incidenza percentuale delle imposte col crescere del reddito individuale. 

Popolarmente tradotto, potremmo dire che chiunque stia a bordo del treno, indipendentemente da chi in quel momento è alla guida, è tenuto a pagare il biglietto. Più costoso per chi ha la fortuna di viaggiare in prima classe, meno per chi siede in seconda. E il prezzo dei biglietti lo fissa il padrone delle ferrovie. Ossia, costituzionalmente parlando, il popolo sovrano, che in Italia si incarna nel Parlamento. 

Ebbene, la grande novità di questi giorni è che il nuovo padrone delle ferrovie ha proposto che il biglietto del treno debba certamente pagarlo, e pure con dovuto anticipo, chiunque viaggi in seconda classe. 

Chi invece viaggia in prima è tenuto a pagarlo solo se può fregiarsi della qualifica di «fesso» (colui che è capace di danneggiare in un sol colpo gli altri e se stesso). Se invece fesso non è, potrà comodamente viaggiare in prima classe dietro promessa di rateizzare in sette o in dieci anni il pagamento del titolo di viaggio (a babbo morto, come soleva dirsi una volta) oppure appellandosi a momentanee difficoltà economiche che ne rendono problematico l’acquisto, anche rateale. 

In ogni caso, trascorsi cinque anni, nulla sarà dovuto per il trasporto comunque comodamente fruito. 

Tutto quel che il mancato pagatore dovrà fare è documentare lo stato di «obiettiva difficoltà» che gli ha impedito di pagare il biglietto (traduzione: mi son speso i soldi. Senza per questo dover precisare se a causa di un’inattesa catastrofe naturale o di un eccessivo indebitamento per l’acquisto di una nuova barca, o di una partita di coca brasiliana). Se l’«obiettiva difficoltà» dovesse poi protrarsi fino a cinque anni, il dovuto sarà dichiarato «inesigibile» (traduzione: l’esattore non lo esigerà, e il debitore si sdebiterà).

Che altro dire? Se i treni si muovessero senza consumare rotaie ed energia, sarebbe bello poter offrire a tutti un viaggio gratis: cominciando magari da chi siede in seconda e non in prima. Ma poiché far marciare il treno costa molto denaro, vien da chiedersi dove il padrone delle ferrovie conti di trovare i soldi destinati a coprire le ineludibili spese. Forse accendendo altri debiti? O aumentando il prezzo del biglietto di seconda classe? O lesinando su pulizie, manutenzione, personale, riparazioni?

Che il Parlamento sovrano ci spieghi almeno «come» intenderebbe sopperire al mancato incasso. Troppo sarebbe chiedergli «perché» intenda rinunciarvi. Forse perché lo considera un «pizzo di Stato», anziché il corrispettivo di un servizio? 

Trovi in tal caso il coraggio di riscrivere l’art. 53: «Solo i fessi sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, indipendentemente dalla loro capacità contributiva». 

Esploderanno gli applausi. 

Ed anche i debiti.

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