Chiamata ad eleggere il nuovo Consiglio Regionale, quella metà dei Sardi presentatisi alle urne ha conseguentemente espresso una moltitudine d’opinioni paragonabile soltanto all’immensa varietà di paesaggi di cui l’Isola si vanta.
L’esito finale, raggiunto dopo un interminabile e faticoso testa a testa, ha visto una risicata affermazione della coalizione movimentista su quella partitica (45,4% contro 45,0%) ma i risultati a livello locale non possono che verificare l’antico detto circa il gran numero di differenti fogge, qualità e colori dei copricapi in uso in Sardegna.
Un terzo dei votanti, concentrati nella capitale e nell’hinterland, conoscendo per esperienza diretta le qualità amministrative di Truzzu, sindaco di Cagliari, si è ben guardato dal votarlo, preferendogli la pur poco amata Todde. Ma anche la città di Sassari, giusto per antica preconcetta ostilità alla capitale Cagliari, ha evitato con cura di premiarne il sindaco. Che vince invece ad Olbia, ben amministrata da una destra protoberlusconiana, e ad Oristano, feudo ecclesiastico di antichissima data. Netta affermazione di Todde soltanto a Nuoro, sua città natale: troppo piccola per influire sui numeri generali ma unico esempio di voto motivato e convinto, piuttosto che di mera protesta.
Perché di questo infine si è trattato: non di un voto «per», ma di un voto «contro». Della vittoria di misura di un’improponibile unione tra un movimento di ispirazione cattolica, attento alle minoranze e nemico di ogni maggioranza, ed un ex partito da tempo privo di una qualsiasi linea politica e precipitato anch’esso nel movimentismo buonista di stampo neofrancescano. Quanto ciò possa infine tradursi in buona amministrazione, fatta di servizi efficienti, ordine, sicurezza e sviluppo, ci sarà modo di vederlo negli anni che verranno. Il sospetto è che ancora una volta una classe dirigente arraffona, ignorante e inadeguata lavorerà – come chi l’ha preceduta – per costruirsi, tra cinque anni, la prossima sonora sconfitta. Come usa in una regione dove le elezioni servono più a liberarsi di chi già c’è stato, che non a scegliere chi lo sostituirà. Alla faccia del terzo mandato.
Sullo sfondo i numeri dell’ex governatore Soru, il solo rivelatosi in grado di elaborare e presentare un progetto politico fatto di realtà e non di sogni e desideri di vendetta: un’8,6% certamente commisurato al numero di persone alfabetizzate sulle quali la Sardegna può contare.
Altri cinque anni di malgoverno attendono la Sardegna, che al malgoverno è stoicamente ben più che abituata. Anzi: finché i nuovi arrivati saranno impegnati ad azzannarsi tra di loro, i Sardi potranno serenamente occuparsi della loro vita e dei loro affari, facendo affidamento sulla propria conca, indipendentemente dal colore della berritta. I quattro mori sul vessillo, dopotutto, son della stessa razza delle stelle sulla bandiera americana: separate e ben distinte fra di loro, ma pronte ad unirsi per marciare insieme ogni qual volta il patrio suolo è seriamente minacciato.
Ma di vere minacce, in Sardegna, se ne vedono poche. È vero che tra il male e il peggio ha vinto il male, ma i Sardi son di pelle dura, e il colpo lo sentirà più Roma che non Cagliari.
È a Roma che il governo dovrà difendersi da un Salvini che si è visto sfilare il proprio candidato per lasciar spazio ad un altro rivelatosi di peggior razza, e l’opposizione spiegare ai propri elettori perché un ex grande partito si è ritrovato costretto a prostrarsi davanti a un movimento di nullafacenti pur di strappare una vittoria di misura in una piccola regione d’Italia.
È a Roma che si prepara la tempesta. In Sardegna, archiviate le schede, già si assapora il primo sole di primavera.
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