Un Somarello, che pe’ l’ambizzione
De fasse elegge’ s’era messo addosso
La pelle d’un leone,
Disse: — Bestie elettore, io so’ commosso:
La civirtà, la libbertà, er progresso...
Ecco er vero programma che ciò io,
Ch’è l’istesso der popolo! Per cui
Voterete compatti er nome mio...
Defatti venne eletto propio lui.
Er Somaro, contento, fece un rajo,
E allora solo er popolo bestione
S’accorse de lo sbajo
D’ave’ pijato un ciuccio p’un leone!
Quanto in politica l’apparenza prevalga sulla sostanza, aveva già avuto modo di osservarlo Niccolò Machiavelli (1532), annotando come «Ognuno vede quel che tu pari; pochi sentono quel che tu sei» [Principe, XVIII].
Solo i pochissimi che ti vivono accanto conoscono il tuo reale valore. Quei tanti che si limitano a legger di te sui giornali, o a veder scorrere qualche immagine sul televisore, altro non sanno se non quel che tu vuoi che essi sappiano.
A patto che, ovviamente, fra tante studiate moine, impettiture e ruggiti, non scappi inavvertitamente la sgradevole e rivelatrice sonorità di un potentissimo raglio.
Se nascondere la propria natura era cosa assai facile ai tempi di Trilussa – ed ancor più lo era nel Cinquecento – non lo è tuttavia in questo primo scorcio del Terzo Millennio: l’età della comunicazione «tra» le masse», non più solo unilateralmente rivolta «alle» masse.
Nella Firenze di Machiavelli molti potevano dire d’aver intravvisto – seppur da lontano – il volto del Principe, spiato nella carrozza alla testa di un lungo corteo, o in Cattedrale per qualche solenne ricorrenza. Ma solo pochi familiari e fedelissimi potevano onestamente affermare di conoscerlo.
Nell’Italia di Trilussa, i mezzi per comunicare «alle» masse – come i cinegiornali Luce, l’uso propagandistico della radio, le grandi adunate di popolo – esistevano già: elemento portante del regime politico di allora.
Si trattava comunque di una comunicazione ancora mediata e mediabile. La pellicola poteva filmare il visibile, ma non ancora registrare l’udibile.
Ancora nei telegiornali degli anni Settanta, finché c’è stata pellicola c’è stato montaggio: i tempi di invio delle pellicole (per corriere postale, non certo per mail) non consentivano di sincronizzare un eventuale audio, registrato separatamente, in tempo utile per la messa in onda. Così nessuno poteva sentire la voce degli intervistati, usualmente riassunta in buon Italiano dal commento che il giornalista sovrapponeva alle immagini.
Va da sé che ogni eventuale raglio era inevitabilmente destinato ad esser trasformato in ruggito, se in mano ad un commentatore «amico». E viceversa, in presenza di un commentatore «nemico».
Solo nelle dirette da studio, dove era possibile trasmettere in sincrono audio e video, qualche raglio poteva inavvertitamente sfuggire, come ben ricordano i divertiti spettatori di «Tribuna Elettorale» (dal 1960) moderata allora (quando possibile) da un mite e paziente Jader Jacobelli.
L’impossibilità tecnica delle telecamere di allora di lasciare lo studio senza un seguito di camion provvisti di generatori, regia mobile e adeguato parco luci, ha reso a lungo inimmaginabile poter vedere e contemporaneamente ascoltare un politico casualmente incontrato e intervistato per strada.
Persino un Razzi, filtrato dai telegiornali di allora, sarebbe potuto passare per un raffinato intellettuale, e un Beppe Grillo come l’erede di Winston Churchill.
Tutto cambiò quando la telecamera divenne dapprima un piccolo oggetto alimentabile a batteria comodamente trasportabile e, pochi anni dopo, l’accessorio tascabile di ogni persona incontrata per strada, barboni e bambini inclusi. Strumento non solo in grado di registrare a un sol tempo audio e video, ma di ritrasmetterlo istantaneamente fin negli angoli più sperduti del mondo, là dove neppure il normale segnale televisivo poteva un tempo arrivare.
La pelle del leone, accorciatasi non di poco nei quattro secoli che separano Machiavelli da Trilussa, si è ai giorni nostri ridotta a poco più d’un succinto perizoma.
Tanto da poter ribaltare il machiavellico assunto e legittimamente affermare che oggi «Chiunque vede quel che tu sei; infischiandosene di ciò che pari».
Non c’è pelle che tenga. Alle (potentissime) orecchie di tutti, un raglio è oggi con tutta evidenza un raglio, e non v’è modo di travestirlo da ruggito. E ciò basterebbe a spiegare l’attuale invertita proporzione tra i ruggiti e i ragli: un tempo più numerosi i primi, oggi certamente i secondi.
Non è una brutta notizia, dal momento che la leonina maggioranza d’un tempo era in massima parte fondata su menzogneri ruggiti, ai quali sarà sempre da preferire un autentico raglio.
Perché ogni uomo che voglia definirsi tale preferirà sempre una spiacevole verità a un’indorata menzogna.
Ma gli ominicchi no. Quelli, come ogni bimbo ignaro, preferiscono le favole. Sono affamati di principesse incoronate – di cui quotidianamente si cibano tra serie tivù e riviste da barbiere – e di falsi berlusconici eroi.
Temono la realtà. E all’autorevole voce del leone preferiscono di gran lunga il consolatorio e chiassoso lamento dell’asino, evidentemente ad essi più familiare e congeniale. E lo votano.
Anche perché non esiste alcuna possibile credibile alternativa. Chi ha capito la lezione si spoglia con agile mossa dell’austera veste del leone e si riveste anch’egli, in barba a Trilussa, della grigia pelle dell’asino. Sparge bonus a piene mani e si guarda bene dall’indicare una via.
Brutta Storia, per gli storici di domani, raccontare il serraglio che già domina la scena e che minaccia di allargarsi in quell’anno elettorale che sarà il 2024, quando dagli USA alla Russia, dall’Unione Europea all’India, metà della popolazione mondiale in 76 Paesi si recherà di buona o di mala voglia alle urne.
La speranza è che si facciano avanti i leoni. Messi da parte e umiliati, ma che pure ancora esistono: i Draghi in Europa, i John Kerry in USA...
Ma se saranno soltanto asini, un solo potentissimo raglio risuonerà per il mondo. Non per governarlo, ma per comandarlo. Con l’ignoranza e con la forza: unici collanti del potere, in mancanza di più raffinati ed efficaci strumenti.
Anticipando quel che Trilussa ebbe modo di toccare con mano, in quel lontano 1930. Quando, al primo raglio, il mancato leone fu da tutti scoperto:
— Ho pijato possesso,
— Disse allora er Somaro — e nu’ la pianto
Nemmanco si morite d’accidente;
Silenzio! e rispettate er Presidente!
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