Dall’ignoranza son nati gli dei. E i démoni. E i grandi capi. Quando nessuno poteva spiegare l’esistenza del sole o della luna, del moto ondoso o dei venti, il Sole e la Luna erano numi da adorare, e così il Mare e il Vento.
Poco è cambiato, oggi, tra gli ignoranti, se non l’oggetto della loro ignoranza, ossia i nuovi démoni e i nuovi dei che essi stessi si creano: Soros, il governo attuale, quelli precedenti, gli alieni, il Nuovo Ordine Mondiale, il cambiamento climatico, il Covid, il nucleare... Ma anche – più onnivalente – il semplice e anonimo pronome «loro»: «loro» vogliono, «loro» fanno, «loro» ci opprimono, «loro» intendono farci scomparire dalla faccia della Terra. «Loro»: un’entità potentissima, invisibile, che ha come unico fine lo sterminio dell’intera umanità. Chissà poi perché.
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Il nuovo mondo della comunicazione globale, per dirla con l’Uomo Ragno, a fronte di grandi poteri richiede grandi responsabilità. E grandi competenze.
Se un tempo alle persone semplici era concesso poter vivere una vita semplice, soltanto rifiutando la modernità, come tra le comunità Amish in Pennsylvania o gli hippies in California, oggi non lo è più.
Richiedere o rinnovare un documento di identità o un passaporto, comunicare col fornitore di energia elettrica, la compagnia assicuratrice o la banca, prenotare un volo o una visita medica, son solo alcune delle molte operazioni che non prevedono alcuna interazione con persone reali, ma – quando va bene – con call center macchinosi da contattare e non sempre provvisti di un operatore umano in grado di fornire esaurienti risposte.
Persino quelle che erano un tempo banalità quotidiane, come gettare la spazzatura, pagare le bollette o fare il bucato, richiedono abilità e conoscenze un tempo non necessarie ma oggi indispensabili. Non contemplate dai programmi dalla pubblica istruzione ma demandate all’autoapprendimento da parte di chi ha tempo, capacità e motivazioni sufficienti per dedicarvisi.
Chi non vi riesce si trova ben presto in quella condizione eufemisticamente detta di «non integrato». O, con definizione più appropriata, di «disadattato»: persona incapace di adattare se stessa ad un mondo che cambia in modo radicale e sorprendente, assai più velocemente di quanto non sia in grado di mutare lui.
Che i disadattati siano in rapida e tumultuosa crescita, lo dimostra il milione di «libri al contrario» venduti a chi i volumi solitamente li usa per tener ferme le porte, quando c’è corrente d’aria in casa. Chi ha cacciato di tasca il portafoglio per mettere in bella vista sullo scaffale quel fortunato testo sacro dell’ovvietà, lo ha fatto per sentirsi lui – seppur per un giorno – quello «normale», e il resto del mondo il «disadattato».
Rassicurato in tante semplici e semplicistiche certezze dalla scoperta di condividerle con così tanti sconosciuti, il mondo che gira nel verso esatto è adesso il suo: è lui che occupa la corsia giusta dell’autostrada, mica quegli incoscienti che tanto pericolosamente la percorrono invece in senso contrario.
Nulla di cui meravigliarsi, dunque, se nel chiuso della cabina quell’elettore neolettore finirà col votare per chi va indietro, convinto com’è di votare per chi invece va avanti.
Un lucidissimo quanto preoccupato editoriale di Federico Rampini, apparso sul Corriere dello scorso 27 Dicembre, descrive un’America anch’essa al contrario, a soli dieci mesi da una sfida presidenziale dal cui esito dipenderà in larga parte il destino del mondo.
Non esiste più in USA una vera classe operaia, ma esiste comunque un «lavoro non-laureato» che «spazia alle attività di servizio come infermieri e badanti, fattorini per le consegne, addetti alla vigilanza, camionisti, dipendenti dei trasporti e della distribuzione, personale di ristoranti e alberghi, parrucchieri ed estetiste. Con un ribaltamento della rappresentanza politica – iniziato in America ben prima di Trump, ora in atto anche in Europa – queste categorie si riconoscono nella destra, mentre la sinistra egemonizza i laureati».
Eppure, sottolinea l’autore, «la loro condizione materiale è migliorata. In America c’è piena occupazione, i rapporti di forze sul mercato del lavoro sono cambiati a favore dei dipendenti, i salari aumentano, sono scese le diseguaglianze», mentre «l’economia americana scoppia di salute e la prosperità degli Stati Uniti distanzia Europa e Cina». Sono oggi i lavoratori meno qualificati a chiedere «ordine, lealtà verso la propria comunità, rispetto delle tradizioni, importanza della famiglia, patriottismo». E tra i più fieri avversari dell’immigrazione incontrollata vi sono le minoranze etniche.
Anche in Italia, decenni di lotte sindacali han fatto sì che un bidello guadagni oggi poco meno di un insegnante e un infermiere con anzianità quanto un medico neoassunto. Ciò nonostante, chi oggi protesta e si lamenta in piazza sono ancora i bidelli e gli infermieri.
C’è qualcosa di più grande e difficilmente spiegabile, evidentemente, dietro i tanti inattesi Vannacci che van pian piano affiorando in ogni angolo del mondo.
C’è come una sorta di insoddisfazione di massa pronta a trasformarsi in rancore: ingiustificata ma non per questo meno pericolosa e violenta, capace di dare l’assalto a Capitol Hill o di portare in strada migliaia di individui pronti a spaccare qualsiasi cosa in nome di non si sa che cosa.
Nulla di inspiegabile, per noi alati che vediamo ogni cosa dalla giusta distanza. Non esisterebbero terrapiattisti, sul vostro mondo, se potessero osservarlo dal nostro: non vedrebbero altro che una sfera tonda, tondissima, senz’altra occupazione se non quella di rivoltarsi in continuazione su se stessa.
C’è una larga parte della popolazione mondiale che gode oggi di un benessere fino a non molto tempo fa sconosciuto: a partire da quella metà di Italiani che fino agli anni Sessanta non aveva il bagno in casa, sognava la bicicletta o tutt’al più la Vespa, giù fino al Quarto Mondo che nasceva e moriva scalzo, ma che oggi ha quanto meno di che mangiare e di che vestirsi.
Proprio quei sogni, apparentemente impossibili dopo una così lunga stagione di guerre, han fatto da carburante a tante vite allora povere ma felici: spaccarsi la schiena per l’automobile, per una casa propria, per spostarsi liberamente senza dover per questo emigrare. Averli realizzati, e scoprire a un tempo che la felicità e il benessere risiedono altrove che non nel possesso di oggetti, ha forse messo in moto quel sentimento misto di delusione e incompletezza della propria vita che sta alla base di tanta diffusa insoddisfazione.
Il mondo di chi non aveva nulla, era il mondo del «con»: la pubblicità inventava inesistenti qualità per i loro prodotti (Colgate «con» Gardol; Dixan «con» Perborato). Il mondo di chi ha troppo, è invece il mondo del «senza» (senza olio di palma, senza zuccheri, senza grassi...).
Che sia questo il vero mondo al contrario? Certamente, è un mondo di contrariati, delusi di sé e della propria (agiata) vita.
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La vecchia società piramidale offriva assai meno libertà, ma più ferme certezze. La nuova età reticolare offre invece molta più libertà, ma senza alcuna certezza.
Non esiste più un percorso di vita predefinito e certo: non esiste una strada condivisa, tracciata da segnaletica e paracarri, ma solo una sommaria direzione da scegliere a proprio rischio e pericolo. Intuitivamente. Cominciando dagli studi, chi può giurare che le nozioni di ingegneria, o di medicina, o di agraria che si studiano oggi sui banchi avranno ancora un valore, fra dieci o vent’anni? E sul lavoro, chi accetterebbe oggi una posizione iniziale scarsamente retribuita e di maggior fatica, senza una sicura prospettiva di carriera legata a un percorso ascensionale lungo tappe successive, in vista del raggiungimento dell’agognata vetta?
Nulla di tutto questo è anche soltanto immaginabile, al giorno d’oggi.
Non esiste più, al di fuori dei ruoli dirigenziali, un percorso di crescita professionale lineare, regolato e garantito. Esistono lavori e occupazioni che nascono e muoiono nel giro di pochi anni. Chiudono le edicole, nascono gli influencer; scompare il VHS, appare il DVD, poi il B-Ray ed è subito Netflix, presto sepolta da un mare di concorrenti destinati anch’essi a dissolversi nel breve periodo. Ciascuno è libero di inventarsi il mestiere che vuole: dal tatuatore allo street artist, dal dog-sitter all’autista Uber, dall’arredatore allo stilista, ma sa che non durerà per sempre, e che ogni successivo cambiamento non sarà necessariamente in meglio.
Persino chi ancora si annida nel grembo della pubblica amministrazione, un tempo comoda e ben pagata sepoltura di ogni più rischiosa giovanile ambizione, ha dovuto abbandonare il calamaio per la macchina da scrivere, poi rimpiazzata dal computer ed infine dalla rete, ha visto morire il vecchio timbro per vederlo risorgere in forma di QRcode, e domani chissà cos’altro.
Non aver più davanti a sé una strada segnata – come il figlio del falegname, che continuava l’opera coi medesimi attrezzi (e competenze) del padre, ereditati dal nonno e questi da chi prima di lui – apre spazi infiniti di libertà, ma segna la fine di ogni precedente certezza.
Una così ampia libertà è un mezzo assai difficile da governare: pilotare un aereo, libero di muoversi in ogni direzione a diverse quote, è cosa più complicata che non guidare un’automobile su una strada ben delimitata. E guidare un’auto è più complesso che non manovrare un treno, costretto in rotta dai binari. E il treno è a sua volta più impegnativo del calesse, che consente al conducente persino di addormentarsi con le redini in mano, nella certezza che l’animale saprà comunque trovare la strada di casa.
Forse stanno anche qui, le ragioni di tanta inspiegabile rabbia da parte di ceti popolari mai così benestanti, dai redditi limitati ma comunque proprietari di automobili e di case: forse stanno nel fatto di poter finalmente disporre in tutta libertà della propria vita e al medesimo tempo scoprire di non possedere le necessarie capacità e conoscenze per poterne trarre l’auspicato profitto. Nel fatto di poter liberamente svolazzare in ogni direzione, in alto o in basso, a destra o a sinistra, senza un percorso obbligato da seguire, seduti ai comandi dell’aereo ma assolutamente incapaci di pilotarlo.
In assenza di un diretto superiore, un «padrone», un professore, un genitore, un governante o qualcun altro su cui scaricare le proprie incapacità, diviene allora urgente individuare un altro nemico, grande o piccolo, vero o immaginario, che possa allontanare da sé il sospetto di essere il solo ed unico responsabile della propria ignoranza.
Sognare la bicicletta e poi conquistarla, ha un senso se poi si impara a pedalarla. Così l’automobile. E altrettanto l’aereo. Non riuscirci, è fonte di frustrazione. Figuriamoci la libertà: vedersela lì davanti, dopo secoli di schiavitù, e non saper da che parte cominciare ad usarla.
Eppure, sarebbe sufficiente studiare, imparare, conoscere: se l’ignoranza è un nemico senza volto, lo è solo perché in essa nessuno ha il coraggio e l’onestà di riconoscervi il proprio.
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La società reticolare, che – a differenza di quella piramidale – pone tutti sul medesimo livello di partenza, ha per corollario la fine di ogni alibi: l’impossibilità di scaricare su altri le colpe della propria impreparazione, incapacità, inadeguatezza.
Quanti, nel mondo precedente, erano soliti illudersi d’essere in potenza grandi scrittori, straordinari musicisti, attori degni di fama, registi di successo?
Nel mondo di oggi, reticolare, a chiunque è data la possibilità di provarci. E gli strumenti per farlo. A costo zero.
Non occorre altro che un banale telefonino per scrivere il capolavoro del secolo e distribuirlo nel mondo intero, per girare un film e mostrarlo a otto miliardi di persone, per incidere un disco coi suoni di un’intera orchestra e proporlo ad un pubblico infinitamente più numeroso di quello che Schubert o Mozart potessero mai sperare d’avere.
Gli ex artisti incompresi (oggi, più semplicemente, incapaci) non possono continuare ad incolpare dei loro mancati successi l’industria cinematografica, il monopolio dell’editoria, lo strapotere dei discografici. Non hanno più alibi. Sono nudi. Sudditi nudi. Senz’altra difesa se non quella di inventarsi un re (magari fin troppo vestito) a cui attribuire le colpe della loro sterminata ignoranza: le multinazionali del farmaco, quelle dell’informazione, ma van bene anche il 5G, il MES, i microchip, il Big Reset, il Deep State, il fornetto a microonde. O, volendo proprio far dei nomi: un Soros, un Musk...
Tanta ignoranza, nei sistemi parlamentari (dove per definizione la quantità prevale sulla qualità) è inevitabilmente destinata a favorire l’affermazione di quelle forze politiche animate dai medesimi sentimenti di impotenza e rancore diffusi in strati sempre più vasti di popolazione. Una tendenza in atto nei Paesi più avanzati di cui è possibile cogliere evidenti segnali, ma alla quale nessuno pare oggi in grado di opporsi. E tampoco desideroso di farlo.
Nessuno, se non quello che è più acerrimo e possente nemico dell’Ignoranza: e cioè la Saggezza. Al cospetto della quale non vi è stupidaggine o menzogna che miseramente non crolli.
Avendocela, una Saggezza.
Di certo ve ne è ben poca in quegli USA che, di fronte alla minaccia incombente di un Trump ormai pronto a tutto, altro di meglio non hanno da contrapporgli che un Bidenzombie in età prossima alla scadenza. O, quantomeno, alla decadenza. Col sostegno di quel mondo universitario (che del Sapere dovrebbe essere magione, residenza e domicilio) apertamente schierato al fianco del terrorismo più selvaggio, anziché con l’Occidente da quello duramente colpito e offeso. Dove – riferisce ancora Rampini – regna «il profondo disprezzo dei laureati verso i non-laureati», visti come «come rozzi bifolchi, pieni di pregiudizi, bigotti e rancorosi, facile preda per ogni demagogo populista o aspirante dittatore fascista». Osservazione assai probabilmente non distante dalla verità, ma inopportuna in bocca a chi, per compito istituzionale, ha come principale dovere proprio combattere e sconfiggere quell’ignoranza, quei pregiudizi, quel bigottismo, quel rancore. Piuttosto che limitarsi a sorriderne e sbeffeggiarli.
O forse la Saggezza alligna in Italia, tra gli inetti avversari di un inetto governo, incapaci di contrapporre una visione progressista e democratica al mito regressivo dell’uomo-solo-al-comando che l’attuale governo insiste nel voler erigere a unico possibile modello?
No. Non è opponendo a un cialtrone un cialtrone ancor più grande, o all’ignoranza un’ignoranza ancor più profonda, o al Nulla un Nulla ancor più vasto, che la Saggezza può aver la meglio.
Non si sconfigge il buio delle tenebre con tenebre ancor più oscure.
Occorre un salto di autentica qualità.
D’altronde, se la Quantità minaccia di trasformarsi nelle urne in (falsa) Qualità, perché mai la (vera) Qualità non dovrebbe ambire a sconfiggerla, attraendo proseliti e generando in tal modo la necessaria Quantità?
La Storia insegna che nella maggior parte delle passate sfide son sempre stati i migliori a trionfare sui peggiori. E quando malauguratamente è accaduto il contrario, quella vittoria è stata di breve durata, oltre che di grave danno tanto per gli elettori che per gli eletti.
Servono uomini saggi, in grado di far crescere le persone e, con esse, il mondo. Uomini che la Storia, in attesa di scriverla, si occupino di leggerla, studiarla, apprenderla e comprenderla. Di quelli che, per quanto rari, isolati ed anziani, ancora spaventano gli ignoranti.
Se è vero – come è vero – che una delle massime preoccupazioni dell’attuale governo, in Italia è stata ed è quella di espellere dal Parlamento quei pochi illustri senatori a vita ancora rimasti.
Forse perché troppo preziosi, e troppo poco prezzolati.
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