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Salviamo le loro vite

Un’altra giovane donna uccisa. Per mano di un giovane ragazzo nel quale continuava a riporre fiducia, dopo una relazione, due volte spezzata, apparentemente ricondotta ad un’innocua cameratesca amicizia. 

Son più di cento, dall’inizio dell’anno in Italia, le donne assassinate dai mariti, fidanzati o compagni, ma nessuno di quegli efferati omicidi ha suscitato nel Paese un’emozione tanto vasta, condivisa e profonda come il gesto di Filippo Turetta, studente, ai danni della sua ex Giulia Cecchettin, laureanda. 

Le immagini della casa della vittima – letteralmente sommersa da mazzi di fiori, lumini, pupazzi, messaggi come nessun’altra prima – le manifestazioni spontanee in piazza, le commosse dichiarazioni d’affetto, l’immediata reazione non solo da parte delle consuete associazioni di settore, ma anche delle maggiori forze politiche, la capacità di scalzare dalle prime pagine dei giornali persino gli avvenimenti bellici, fanno di questo femminicidio un caso del tutto a sé. Differente da ogni altro. 

Mai come in questo  vicenda emerge quella che Hannah Arendt volle definire «la banalità del male». Un male che si manifesta stavolta in tutta la sua scandalosa nudità, privo di quegli artificiosi panni sotto i quali tenta spesso di nascondersi: la miseria, la malattia, il bisogno, una storia maledetta alle spalle, la guerra, il carcere, le cattive amicizie, l’oppressione, la droga, il vizio del gioco, l’offesa che grida vendetta, la sfortuna, una famiglia sfasciata, inesistente o assente...

Nulla di tutto questo. Quel mondo che per un tempo così crudelmente breve ha conosciuto l’amabile sorriso di Giulia, è stato un mondo assolutamente normale, vissuto all’interno di una famiglia normale, arricchito da studi fin troppo regolari, da amicizie a lungo coltivate, come possono esserlo quelle che uniscono i pochi coetanei costretti a crescere insieme in un piccolo centro. 

Lo stesso potrebbe dirsi di Filippo: a cui la vita, anzi, ha risparmiato la sofferenza di una madre scomparsa anzitempo, dolore invece riservato a Giulia, che coraggiosamente l’ha affrontato e superato: con la stessa forza con cui ha provato a difendersi dal suo assassino, per sempre incisa in forma di osceni graffi e ferite sui palmi sollevati a proteggersi dall’insospettato nemico. 

Inutilmente. 

Per uno di quei curiosi scherzi della cronaca, Giulia è anche il nome della protagonista di un poco conosciuto film americano del 1956 («Julie», titolo italiano: «Salva la tua vita»). 

La giovane Julie (Doris Day) lavora come hostess sui voli di linea: libera e indipendente come solo le donne americane potevano allora esserlo, e tuttavia crudelmente perseguitata da un marito accecato da una folle quanto ingiustificata gelosia. Un uomo che dapprima minaccia ed infine promette di ucciderla, tentando persino di far precipitare l’aereo sulla quale è imbarcata. Julie finirà col salvarsi. Giulia no. 

Nessuna delle due ha conosciuto i drammi delle dittature religiose o la barbarie del «delitto d’onore» (cancellato in Italia solo nel 1981). Julie era figlia della ricca, moderna e tollerante California, Giulia della ricca, moderna e tollerante provincia veneta. Tanta quotidiana normalità non è evidentemente bastata a difenderle. Non nell’insospettabile California del 1956. Non nell’italica Padania del 2023. 

Finita la caccia al colpevole, arrestato dalla sua stessa automobile rimasta senza benzina, è cominciata la caccia alle colpe. 

Colpa del potere legislativo, grida qualcuno, invocando un inasprimento delle pene. Eppure le leggi non mancano: accoltellare una ragazza indifesa, ucciderla e gettarne il corpo in un lago dovrebbe costituire un reato sin da quando Mosè ricevette il Quinto Comandamento.

Colpa del potere giudiziario! Gridano altri. Ma la Magistratura non si è mai tirata indietro nel condannare un colpevole. Anzi: viene molto più spesso accusata di condannare troppi innocenti.

Colpa del potere esecutivo. Sarebbe più lecito ipotizzare. Perché scriver leggi è facile: basta abbaiare forte e, laddove non bastasse, ancora più forte. Più difficile è applicarle, quelle leggi: perché per farlo non basta saper latrare, ma occorre anche saper mordere. E questo, a chi governa, piace meno. 

Sarà forse per la particolarità tutta italiana che vede la carica di ministro (non elettiva) pienamente compatibile con la nomina a parlamentare (elettiva), cosa che induce i ministri a trattenere le zanne (non elettive) per paura di perdere voti (elettivi).

Così le due voci oggi preponderanti son quelle di chi propone di abbaiare un po’ di più (nuove leggi, terribili ma inapplicabili, sulla scia del decreto «rave») ma evitando quanto più possibile di mordere, e le altre di chi invece confida nei poteri dell’«educazione», quasi che fosse sufficiente un buon circense per fare di un asino un cavallo, e mutarne i ragli in nitriti.

Non occorrono nuove leggi. Occorre dare piena esecutività alle leggi che già esistono. Serve (servirebbe) un governo. Ma uno vero. 

Bene più informazione nelle scuole (compito anch’esso del potere esecutivo, per il tramite del ministero a ciò preposto), ma meglio ancora sarebbe una presenza visibile di agenti nelle strade. Se l’assassino di Giulia è stato catturato, dopotutto, lo si deve agli agenti stradali tedeschi, avvertiti dagli automobilisti in transito della presenza di un’auto in sosta senza luci e senza triangolo nella corsia d’emergenza di un’autostrada. 

Julie, nel film, non appena si rende conto d’essere in pericolo, varca la soglia di un commissariato e si rivolge alla polizia, che inizialmente dubita dell’attendibilità del suo racconto, ma che segue comunque l’evolversi della vicenda, trovandosi pronta ad intervenire quand’essa giunge in seguito a mostrarsi in tutta la sua gravità. 

La gente «normale» non chiede altro che normalità. Piaccia o non piaccia, la gente «normale», ossia rispettosa delle norme, è una maggioranza. Per quanto messa in ombra da una forse eccessiva quanto interessata attenzione per le minoranze, assai più facili da accontentare e tenere a bada.

Oggi, però, forse per la prima volta la vittima è una persona normale. E migliaia di altre persone normali, stringendosele accanto, non chiedono altro che di essere viste, di essere ascoltate, di essere considerate. In una parola: di esistere. 

Riuscirà prima o poi una forza politica, dovunque essa voglia geometricamente collocarsi, in alto o in basso, a destra o a sinistra, a levante o a maestrale, al centro o alla periferia, ad intercettare la sempre più gridata domanda di politica (quella vera) che da questa maggioranza proviene? 

Chiunque intenda provarci, dovrà partire da qui. Dalla tragedia di due vite spezzate, e dagli istinti animaleschi di chi ha scelto di spezzarle entrambe.

 

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