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Contronatura

Che la Natura sia da sempre la più fiera e temibile nemica dell’umanità, ne diede a suo tempo ampia dimostrazione in prosa e in versi il grande Recanatese. 

Eppure, a dispetto delle vibranti quanto documentate arringhe di un Pubblico Ministero di tal peso, i banchi della Difesa si sono andati in tempi recenti affollando di avvocaticchi e legulei pronti ad accollarsi ogni responsabilità o colpa pur di salvar la ghirba ad una pur tanto crudele imputata. 

— Non son certo colpa dell’innocente Natura — dicono costoro — catastrofi e pandemie, maremoti e terremoti, lebbra e colera. No! La colpa è dell’umanità, che con la sua azione (la Cultura) molesta le (naturali) attività dell’imputata. La cui innata bontà è dimostrata dal fatto che, popolando essa il Pianeta di tante piante ed animali, generosamente provvede alla sopravvivenza di chi vi abita. 

Che ciò non sia vero, lo dimostra l’esistenza stessa della Morte, tragedia imprevedibile quanto definitiva e certa, espressamente progettata per por fine alla vita di qualsiasi essere animale, vegetale e financo minerale. Non soddisfatta di ciò, giusto per tenersi in allenamento la medesima Natura anticipa ai viventi qualche breve trailer del loro orribile futuro, offrendo ad essi un assaggio di terribili cataclismi e un campionario delle più perniciose malattie. 

— Colpa dell’Uomo! — strillano i tafazziani difensori della Natura, regina del crimine. E davanti ai suoi puntuali quanto irragionevoli assalti, piuttosto che combatterla (come’è dovere di chiunque venga senza un ragionevole motivo minacciato e vigliaccamente colpito) essi si battono il petto, si frustano le spalle e si inginocchiano ad implorare perdono e pietà. Non diversamente da quei penitenti che, nell’Alto Medioevo, ritenevano i colpi della Natura una meritata manifestazione dell’ira divina a causa dei loro troppi peccati. Veniali e mortali.

La cosa buffa è che questi fautori di un ritorno al primo Medioevo schifano d’esser definiti «regressisti» (come a tutti gli effetti sono) e senza vergogna pretendono d’appuntarsi in petto la medaglia di «progressisti»! Sostenitori di quel climaticamente corretto da ZTL che consisterebbe nello spostare i gas delle automobili dai centri storici cittadini, dove essi amano risiedere, alle periferie popolari. Dove i medesimi gas di scarico si moltiplicheranno per produrre quell’energia elettrica che ripulirà invece l’aria dei loro eleganti quartieri. Con gran rottura di polmoni altrui. 

Che tale interessata difesa della Natura comporti una preconcetta ostilità verso il suo esatto contrario (la Cultura) è un fatto plasticamente evidenziato dalle recenti insistite azioni di quegli sventurati privilegiati dediti ad oltraggiare, quando non addirittura e danneggiare, quelle opere d’arte che dell’umana Cultura son fra le massime e più evidenti manifestazioni. 

Se tuoni e fulmini sono la risposta «difensiva» di una Natura (evidentemente putiniana) «minacciata» da quella stessa umanità che all’opposto ne subisce invece le continue, infinite, irreparabili molestie, che altro resterà da fare ad un’umanità devastata da tanto ingiustificati sensi di colpa se non il prostrarsi ad adorarla, sacrificando ad essa industrie, automobili, strade, edifici, ferrovie, porti ed aeroporti? Resuscitando per la bisogna inservibili mulini a vento, vetturette da autoscontro e pericolosi monopattini?  

Ogni recrudescenza climatica, sia essa il caldo estremo di un Sud devastato da incendi (per lo più dolosi) o le tempeste di un Nord massacrato anzitempo, è salutata da costoro con salti di gioia e valanghe di ve-l’avevamo-detto. Quasi che simili cataclismi non abbiano da sempre accompagnato la Storia dell’Universo sin dalle prime origini. 

Che le ignoranti convinzioni dei fustiganti medievalisti siano di tipo sostanzialmente religioso, fondate sulla cieca fede piuttosto che sulla Scienza, lo dimostra il fatto che, così come accaduto in passato, già c’è chi propone di punire per legge i così additati «negazionisti climatici». Intendendo per tali non quegli individui che sconsideratamente negano che il caldo sia caldo, il freddo sia freddo, la pioggia allaghi e la grandine danneggi, ma chiunque pensi che la responsabilità di tali disastri non sia da addebitare alla Cultura, ma alla Natura stessa. E che il dovere dell’umanità sia quello di combattere quest’ultima, imbrigliando i fiumi e proteggendo i porti, riscaldando le case in inverno e raffreddandole in estate, dando vita a nuove cure che cancellino contagi e malattie, anziché chiederle perdono ed adorarla in silenzio. 

Che sensibili mutamenti climatici siano effettivamente in atto, questo è sotto gli occhi di chiunque abbia in casa un termometro. Che tali cambiamenti discendano dall’azione umana, è cosa assai più dubbia, volendo anche solo considerare che essi colpiscono paradossalmente con maggior ferocia quelle aree del pianeta dove la presenza antropica è più scarsa o nulla. 

Del tutto indimostrata, infine, è la fondamentale questione se tali cambiamenti siano di tipo ciclico o non piuttosto una serie crescente: se siano essi il temporaneo picco di una sinusoide che alterna nel tempo valori alti a valori bassi, o non piuttosto un’iperbole irreversibilmente destinata a salire. 

Non esistono dati meteorologici scientificamente attendibili più vecchi di cent’anni, e ciò a fronte di una vita del pianeta quantificabile in quattro miliardi e mezzo di anni, durante i quali sono andate alternandosi glaciazioni e inondazioni, fertilità e desertificazioni, movimenti e mutamenti demografici.

Non siamo tecnicamente in grado di affermare con certezza se gli attuali eccessi climatici siano il riproporsi, a mille o centomila anni di distanza, di condizioni già esistite in passato, o una variazione in continua ascesa dalla quale non sia più possibile tornare indietro. Non possediamo dati certi per un attendibile raffronto tra epoche lontane. Li avremo certamente in futuro, ma non li abbiamo oggi. Tutti vediamo «cosa» sta accadendo. Molti sono forse in grado di illustrare il «come». Ma nessuno dispone di elementi sufficienti a spiegare «perché». 

Non si tratta di «negazionismo», come i climaticamente corretti sguaiatamente accusano, ma di onestà scientifica. 

Nessuno nega che le temperature a Catania siano oggi più alte di quelle di ieri, o che i temporali a Milano sian stati più catastrofici e impetuosi che non l’anno passato. Ma non per questo si può con certezza affermare che gli anni futuri debbano anch’essi rivelarsi più tempestosi o più caldi. 

Nel dubbio, sarà certamente opportuno elaborare piani d’emergenza, ripari e vie di fuga. 

Sarà pur sempre meglio prevenire e combattere, che non camminare sui carboni ardenti battendosi il petto e implorando pietà.

Ad una Natura che pietosa sicuramente non è. 

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