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C'era una volta la Russia

Col rublo in picchiata e un presidente non meno picchiato, la Federazione Russa bombarda a Odessa le chiese e le seconde case degli stessi Russi. Quelli che non possono più abbronzarsi a migliaia sulle sponde del Mar Nero, ma solo sbronzarsi, in casa propria, spaccando bottiglie di pessima Vodka. Quella buona, coi centotre rubli necessari per un euro, non possono più permettersela. 

La vigliaccheria sarà il marchio di fabbrica che accompagnerà l’immagine dei Russi per i prossimi cent’anni: cacciatori di asili nido, ospedali, chiese, supermercati, condomini, scuole, oltre che di navi e treni carichi di grano.

Dopo tutto, anche Hitler evitò a suo tempo di combattere contro i veri soldati: trovò assai più comodo rastrellare donne e bambini disarmati per poi affamarli, torturarli e ucciderli nei cambi di sterminio, radendone al suolo i luoghi di culto, le abitazioni, i quartieri. E tutto ciò senza un vero perché. Rincorrendo ieri il mito della Grande Germania e oggi quello della Santa Madre Russia, ieri della (inesistente) «razza pura», oggi di una (indimostrata) superiore potenza. Quasi che la Russia, la più vasta nazione al mondo, estesa su undici fusi orari e ventotto volte più grande dell’Ucraina, per di più spopolata, necessitasse di ulteriori «spazi vitali».

Non è certo la terra, quella che manca ai tiranni di Mosca, ma l’acqua. L’acqua di un mare dove poter ospitare una vera flotta navale in grado di minacciare il mondo. 

Al momento la debole marina militare russa può contare solo sui sommergibili: i soli mezzi che non necessitino di un vero e proprio porto per nascondersi. Una vera grande flotta necessita invece di interi mari. Non può concentrarsi nella sola base di Kaliningrad, col rischio di una nuova Pearl Harbour, o negli approdi temporaneamente occupati della Crimea. 

La Russia vuole l’intero Mar Nero. Vuole l’intero Mar Baltico. Ma vuole soprattutto il primo. Il solo tra i due che non ghiacci nella stagione invernale.

Perfino Erdoğan, che di quel mare controlla la porta d’accesso, ha compreso quali siano le vere mire del vicino e, pur continuando a tenere i piedi in due staffe, sembra ogni giorno dar più peso alla gamba occidentale, rimarcando la propria fedeltà alla NATO e premendo per nuovi accordi commerciali con l’Unione Europea.

La posta in gioco è assai maggiore di quanto appaia. 

Un Paese sostanzialmente deindustrializzato come la Russia, incapace di produrre alcunché e che deve la sussistenza alle immense ricchezze estratte del proprio smisurato sottosuolo, si trova oggi schiacciato fra un continente americano dove l’età industriale è finita da quarant’anni, lasciando spazio allo studio, alla creatività e alla ricerca, ed un impero cinese dove l’età industriale, oggi invece al culmine, arricchisce la popolazione e stimola nuove mire imperialiste (l’Africa, il Sudest asiatico) volte all’acquisizione di nuovi mercati per una sempre crescente quantità (e qualità) di prodotto. 

In qualsiasi modo la vicenda dovesse ricomporsi e concludersi, o a vantaggio degli USA ovvero con un maggior riconoscimento del ruolo della Cina, la Russia di Putin ne uscirà sempre e comunque ridimensionata e perdente: estromessa da ogni civile umano consesso e incapace di provvedere da sé ai propri bisogni. Non producendo né beni materiali, né idee immateriali da consumare o da vendere.

Questioni di simile scala mondiale son state fino ad oggi pane quotidiano per l’Organizzazione delle Nazioni Unite, sorta dalla tragica esperienza di due conflitti mondiali proprio al fine di evitarne un terzo, allestendo una stabile palestra di confronto tra i popoli che potesse civilmente prevenire e ricomporre ogni possibile ostilità, fraintendimento o attrito, così da allontanare – o per lo meno ridurre – l’eventualità di nuove guerre. 

Anche l’ONU, tuttavia, ha dei padroni (il Consiglio di Sicurezza) e fra questi padroni vi è tra i primi proprio l’aggressore russo. E ciò basta a compromettere ogni possibilità di composizione pacifica dell’invasione russa in quella sede. 

Così, di fronte alle prepotenze barbariche di una mafia che s’è fatta Stato (F. Fubini), il mondo si ritrova privo dei necessari strumenti militari e diplomatici per contenerla. Con una NATO che è solo un’alleanza difensiva, un’Europa disarmata dapprima dai trattati del ’47 ed infine dalla Brexit, una Russia pronta a frantumarsi ma ancora in possesso di armamenti nucleari, una Cina a caccia di maggior rilievo politico, i Paesi ex-emergenti – ormai emersi – dall’India alla Thailandia, affacciati al davanzale per meglio comprendere da quale parte sarà in un vicinissimo domani più conveniente schierarsi. 

Nell’attesa, il parco giochi per le bombe russe, malamente indirizzate e non sempre funzionanti, resta ancora l’Ucraina. Innocente vittima di un’«Operazione Militare Speciale» sempre meno speciale e sempre più tragicamente «normale».  

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