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Il generale inverno

È una Russia codarda e impotente, incapace di combattere a viso aperto, quella che chiama «operazione speciale» la vile azione di schiacciare un pulsante sul comodino di casa e scagliare migliaia di ordigni a lungo raggio contro donne, vecchi e bambini, con particolare predilezione per asili nido e ospedali. O assoldare a carissimo prezzo truppe mercenarie guidate da barbari famelici con licenza di massacro e di saccheggio.

A corto di missili, ma non certo di vigliaccheria, dopo nove mesi di inutili assassinii e distruzioni, quell’infelice Paese scommette ancora una volta sul «generale inverno»: quel medesimo di cui si servì nel 1812 per infliggere un’umiliante sconfitta all’esercito di Napoleone, quando lo lasciò penetrare indisturbato fin dentro Mosca per poi tagliargli la via mentre il gelo dell’inverno ne decimava le truppe. 

Allo stesso modo, colpendo le infrastrutture essenziali dell’Ucraina, dalle comunicazioni al gas, dalle rete idriche a quelle elettriche, incurante di un possibile disastro nucleare, il crudele dittatore russo gioca ancora una volta la carta climatica, confidando nella durezza dell’inverno per piegare una popolazione fin qui eroicamente resistente. 

Con una sola sostanziale differenza: nel 1812 fu la Russia a giocare il ruolo del Paese invaso e la Francia quello dell’invasore, per di più con la forza soverchiante di settecentomila uomini armati fino ai denti. 

Ma fu certo il senso dell’ingiustizia subìta ad infondere in quei Russi il coraggio e l’animo necessari per abbandonare disciplinatamente le proprie case e trasformare quella Mosca desertificata nella micidiale trappola capace di imbrigliare un Napoleone fino ad allora abituato a stravincere. 

Nessun uomo degno del nome si è mai rifiutato di combattere contro un’ingiustizia. Così come, al medesimo modo, nessun uomo che voglia definirsi tale potrà mai accettare di combattere dalla parte di chi quell’ingiustizia pone in atto.

È accaduto nell’America del Vietnam, coi ragazzi pronti ad affrontare l’emarginazione ed il carcere, piuttosto che massacrare una popolazione innocente. Accade oggi nella Russia di Putin, coi ragazzi in fuga pur di non esser costretti a imbracciare le armi contro un popolo fratello.

Nessuno pare oggi in grado di scrivere il finale della tragedia in atto: è un compito che spetta agli autori, così come agli spettatori appartiene la libertà di applaudire o di fischiare. Quel che invece è certo è che sarà la Storia, al fine, a scriverne l’autorevolissima quanto inappellabile recensione. E conseguentemente ripartire gloria ed onore, dispregio e disonore.

Per la Russia di Putin, non sarà una bella pagella. 

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