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Cento sfumature di nero

Prudentemente vestita da carro armato, più per proteggersi dalle cannonate amiche che non dalle cerbottane parolaie delle opposizioni, la Sgarbatella ha infine battezzato l’arlecchinesco governo che porrà fine alla lunga siccità estiva, regalandoci una lunga stagione di piogge. 

Pochi son gli esemplari appartenenti alla specie umana, molte le volpi messe a guardia del pollaio, diversi i nulla paracadutati dal nulla. Tanta ruggine e nessun luccichìo. 

Dinanzi alle molte perplessità, i neodestri pongono sull’altro piatto della bilancia i ben più inconsistenti ministri dei passati governi a cinquezampe. Ed è un vincer facile: persino una mosca pare un gigante accanto alla pulce. Con una non trascurabile differenza: mentre i cinque zampe, anime candide, ci han messo un po’ prima di scovare i cordoni della borsa e riuscire ad aprirli, questi invece l’han già imparato da tanto. 

Più ancora dei personaggi, che sarebbe ingeneroso fischiare ancor prima che s’alzi il sipario, preoccupa la scomparsa del copione. Nessuno parla più di programmi. Nessuno dice con chiarezza cosa intende fare, come intende farlo, quando, con chi e perché (se non un berlusca apparentemente fuori dal coro epperò applauditissimo dal medesimo coro). 

Spenti i riflettori elettorali non si parla più di fiscalità, di politica estera, di lavoro, di crescita, di assetto istituzionale, di difesa. È il governo del ghe pensi mi, del lasciateci lavorare, del non-disturbate-il-conducente. Che, per definizione, duce e conduce.

Di un cambio d’aria si sentiva certamente il bisogno: anche nelle istituzioni si rende di tanto in tanto necessario aprir le finestre e favorire il ricircolo. 

Non sempre, tuttavia, l’aria esterna è migliore di quella che ristagna all’interno. Talvolta è troppo gelida, o umida, o puzzolente, o inquinata. O porta con sé foglie morte ed insetti molesti.

Che dire poi della finestra? Quella di Palazzo Venezia ci son voluti vent’anni e una guerra, prima di riuscire a richiuderla. Se un’opposizione ancora esiste, provveda a controllarne i serramenti. È quello, dopotutto, il suo primo e necessario compito. 

Il secondo, come insegna Antonio Gramsci, sarebbe quello di elevare le coscienze e le conoscenze delle masse, liberandole dal panem (il bisogno, con annessi bonus ed elemosine di cittadinanza) e dai circences (la sottocultura sparsa a piene mani dal servizietto pubblico e privato in quantità tali da rincitrullire finanche un Socrate) che le tengon sottomesse. 

Un governo migliore non può nascere se non da un elettorato migliore. Chi ancora non l’ha capito, e in malafede confonde un governo migliore con un non meglio precisato «governo dei migliori», mostra di non saper distinguere tra democrazia ed aristocrazia.  

E sta pagando per i suoi sbagli.

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