Per questo ci fanno sorridere le smanie di quei menpensanti che, mentre impropriamente amano etichettarsi de sinistra, inseguono invece gli opposti ideali del più becero pauperismo medievalista, ripetendo errori che persino noi, qui tra le nuvole, oggi consideriamo tali.
Bisogna infatti tornare ai tempi del poverello di Assisi per ritrovare la convinzione che solo facendosi del male si poteva far del bene: fustigandosi in processione, indossando il cilicio, schiaffeggiandosi da sé, digiunando e isolandosi dal mondo, sottoponendosi alle più atroci penitenze, nel tronfio e tracotante tentativo di imitare in sedicesimo il doloroso percorso di redenzione del Cristo.
Otto secoli dopo, i soli che ancora perseverano nel predicare che «povero è bello» sono il candido eremita Frate Gianni e il disperato consumatore di erbe (legali) Porelli.
Ci avevano in verità provato anche i vaffantuttisti a cinque astri, con la loro «decrescita felice». Ma dopo l'epocale scoperta che «povero è bello, ma ricco è meglio» molti son frettolosamente tornati sui loro passi, in special modo coloro che sul malloppo ci han messo per davvero le mani.
Non così Frate Gianni e il suo compagno di digiuni, che in pieno Terzo Millennio ancora insistono nel predicare i vantaggi delle privazioni rispetto alle miserie dell’abbondanza.
Nulla di cui meravigliarsi, se si considera che esiste al mondo ben di peggio: dalle sette suicide a chi rifiuta ogni cura, da chi si ciba solo di foglie e radici a chi è convinto che la Terra è piatta, in un afflato di autodistruzione che nessun essere pensante si sogna di compiangere.
Quel che davvero stupisce, piuttosto, è l’inspiegabile pretesa di qualificare tanto amore per la miseria come «di sinistra». O, ancor peggio: «progressista».
Intendendo evidentemente per «progresso» qualsiasi azione volta al contrario ad impedirlo: che si tratti di lasciar l’immondizia là dove sta, così che possano cibarsene oggi i cinghiali e domani i lupi; o impedire la costruzione di strade, porti, aeroporti, ponti e ferrovie; o bloccare la produzione e l’afflusso dell’energia via terra o via mare, nell’infantile illusione che l’industria moderna possa alimentarsi con quei mulini a vento che mai son stati in grado di far marciare una vetreria o una fonderia.
Intendendo per «sinistra» non un ideale di riscatto strettamente connesso alla nascita di quell’età industriale che ha determinato l’inurbamento di enormi masse analfabete in fuga dalle campagne, impiegate in fabbrica con lavori ripetitivi e salari sempre più bassi, imposti dalla nascente concorrenza, ma la povertà in se stessa. Un’equazione povertà=sinistra che avrebbe fatto inorridire Marx come Engels, Lenin come Stalin, Gramsci come Togliatti, che auspicavano piuttosto l’esatto contrario: l’uscita delle masse operaie, rappresentanti di una nuova classe sociale (il proletariato), dalla povertà e dall’ignoranza. Che non chiedeva cibi vegani, vita all'aria aperta o salutari digiuni, di cui già godeva da sempre, ma alloggi salubri e riscaldati, istruzione gratuita, lavoro qualificato, cure mediche e dignità sociale. Esattamente quel che Frate Gianni e i suoi sodali oggi fermamente combattono, nell’assoluta convinzione che la formula povertà=sinistra abbia per corollario: se cresce la povertà, cresce di conseguenza la «sinistra».
Fortunata l’Italia del ’43, che ha potuto impegnarsi in una guerra di liberazione prima che Frate Gianni nascesse. Ci fosse stato lui, i partigiani li avrebbe distolti da tanto disdicevole bellicismo, invitandoli a posare le armi e a dialogare con i gerarchi nazisti, alla ricerca di una via di pace. E avrebbe spiegato agli Italiani affamati i vantaggi spirituali del digiuno, e quanto mangiar pane, carne e salumi danneggiasse l’organismo. O come vivere al buio e al freddo potesse distogliere il pensiero dalla fame. E infine meravigliarsi se quegli stessi Italiani, cacciata fuori dai cassetti la camicia nera e indossatala senza neppure stirarla, fossero sul punto di mettersi nuovamente in marcia su Roma.
Comprendiamo la disperazione del piddì, ultimo partito borghese che, armato solo di forzacannabis e ius sòla, gira per le taverne del porto pronto ad arruolare chiunque sul proprio vascello.
Ma c’è un limite a tutto: vale la pena di imbarcare tra la ciurma chi già manifesta odio per gli ufficiali, pretende di imporre una propria rotta e minaccia l’ammutinamento prima ancora di metter piede a bordo?
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