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Tu chiamale, se vuoi, elezioni

L’indegna caciara che ha accompagnato in questi ultimi giorni la stesura delle liste elettorali (da presentarsi entro dopodomani 22 Agosto) è un’ulteriore incontrovertibile conferma che quel che si è andato redigendo nelle segreterie dei partiti non era in realtà un’autentica lista di candidature, ma un elenco di vere e proprie nomine dall'alto. 

Magie del Rosatellum applicato ad un Parlamento in piena prova costume, dimagrito in un sol colpo di un terzo del suo peso. 

Nelle consultazioni amministrative (Comuni, Regioni), le sole in Italia dove il diritto di voto è ancora (per adesso) garantito, la formazione delle liste non costituisce mai un problema: se trenta persone intendono gareggiare tra loro mentre sfidano gli avversari, son le benvenute. Se son cinquanta, ancora meglio. Davanti a una simile bistecca, l’elettore saprà ben distinguere la polpa dall’osso: gustarsi la prima e gettare nell’umido il secondo.

Col Rosatellum invece no. Le liste non soltanto son bloccate, così da non consentire alcuna possibilità di scelta al votante, ma sono anche liste corte: da 2 a 4 nominativi, non di più. Non un ristorante con un ricco menu da cui scegliere, ma una mensa a menu fisso e neppure così sicuro: dal momento che quei pochi piatti se li contendono gli avventori di sei tavoli diversi e non è detto che vengano realmente serviti a chi per primo li ha ordinati. Perché il Rosatellum consente al prescelto dal partito di candidarsi in ben sei differenti liste: una maggioritaria e cinque plurinominali. 

Se il solo stare in lista significa dunque aver già più d’un piede in Parlamento, facile arguire il perché di tante battaglie scatenatesi all’interno delle coalizioni, con largo spargimento di sangue (virtuale) e fuoco incrociato di insulti e improperi.

Presentati i brevissimi elenchi, i giochi son fatti. I nomi indicati avranno (o riavranno) al 90% il loro scranno e gli altri si consoleranno della perduta poltrona con qualche improvvisato ma più redditizio e meno impegnativo sgabello.

Nelle due settimane prima del voto, infine, le ultime bordate fatte di scandali, denunce e provvidenziali arresti rimescoleranno un po’ la zuppa, come usa nell’italico stivale. Con qualche mal di pancia, i partiti riusciranno comunque a digerirla. 

— Che c’entra con tutto ciò l’elettore? — finirà col domandarsi qualche anima candida. 

Nulla. 

Non solo l’elettore non potrà scegliere una sola lettera del nome tra i pochi proposti, ma neppure potrà esprimere una personale simpatia per un partito. Tutto quel che gli sarà consentito è il poter mostrare una maggiore o minore predilezione per una delle quattro coalizioni di partiti e/o movimenti, per giunta assai male assortite. 

Compito dell’elettore, in tre parole, sarà quello di reggere il moccolo. Mentre i partiti, indisturbati, fanno le loro cose e le mogli, i cognati, gli amici, i clienti e i parenti si accomodano là dove meglio preferiscono. 


Eppure la lingua latina non è mai stata così chiara: il significato della parola «eligĕre» è uno ed uno soltanto: scegliere

«Eleggere domicilio» in una qualche città significa scegliere liberamente dove andare a vivere. Le affinità elettive non sono soltanto un celebre romanzo di Johann Wolfgang Goethe, ma quelle vicinanze ideali che spingono due o più persone reciprocamente a scegliersi. 

Ma cosa potrà mai scegliere, il 25 Settembre, l'elettore chiamato a far da tappezzeria ai partiti che incuranti danzano e si divertono tra di loro? Non finirà col sentirsi di troppo? Non si sentirà un po’ estraneo? 

È di questi giorni la vibratissima protesta di scrutatori e presidenti di seggio in odor di schiavitù, chiamati a lavorare — immaginate un po’ — per tutta la notte! 

Per come la vediamo da quassù, diremmo che quelle anime delicate possono certamente tranquillizzarsi. Se l’afflusso alle urne sarà quello che un po’ tutti prevedono, mezz’ora dopo la chiusura del seggio lo scrutinio sarà bello che terminato. 

Qualche mese dopo, con altissime probabilità, anche la legislatura.  


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