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Occhiali di tigre

La sparata di oggi porta la firma di Giuseppe Provenzano, vice-letta del «polo di centrosinistra», come i piddifratomaiobonini amano definirsi, in mancanza di altra possibile identità. 

«Queste elezioni non prevedono pareggio: o noi o la destra. Non c'è spazio per terzi o quarti poli», ha declamato con toni più ricattatori che accattivanti il parasegretario. 

Tradotto: sappiamo che molti tra voi si taglierebbero entrambe le mani, piuttosto che votare per noi, ma non avete scelta: se non ci darete il vostro voto arriverà («vincerà») la destra. Anche perché non c’è al mondo altro polo al di fuori del nostro e del loro.  

Intendendo impropriamente per «destra» non quei Cavour, D’Azeglio, Crispi o Giolitti che l’Italia l’han fatta, ma quell’opposta accozzaglia di faccendieri e sfaccendati che ha in odio tutto quel che è legge e regola: dal vaccino alla contribuzione fiscale, dal rispetto per la pubblica e privata proprietà al decoro urbano, dalla giacca e cravatta alla lingua italiana, dalla repubblica parlamentare all’Unione Europea, dal codice della strada agli esami scolastici, dalla pacatezza nel discutere all’igiene personale. 

Provenzano non può rendersene conto, non avendo mai frequentato uno Spadolini o un Montanelli. È pertanto in presumibile buona fede che fa dono ai salvosilviomeloniani del più grande tra i regali: ne nobilita la volgarità, l’insipienza e la sguaiataggine, conferendo alla malassortita compagine la nobile quanto immeritata etichetta di «destra». Col conseguente frullo di più d’una salma in chissà quanti illustri sepolcri, defraudata per un istante dell’eterno quanto meritato riposo.

Se son questi gli argomenti con i quali il polo dei poli (una sola «L») intenderebbe prevalere (vota me se no arrivano loro) non si comprende in che cosa essi differiscano dal vintage berlusconiano «vota me se no arrivano i comunisti, che si mangiano i bambini»: edulcorazione di più antiche democristiane minacce, che concludevano con un tuonante «e andrai anche all’inferno».

Quanto alla pretesa invisibilità del terzo e del quarto polo, neppure San Tommaso rifiuterebbe di ammetterne la reale esistenza. Visto che è possibile toccarli con mano. 

I calendosauditi han mostrato di possedere una visione politica più laica e atlantica di altri schieramenti. Nonché, come ogni polo che si rispetti, una capacità magnetica in grado d’attrarre più d’un berlusconiano/a in fuga. Sul piano strategico, poi, l’idea di occultare sotto il tappeto lo scacciavoti di Rignano e puntare sulla conversione dei non-votanti, piuttosto che andare in caccia di voti altrui, potrebbe riservare qualche sorpresa. 

Il feudatario  di Hamelin, scrollatosi di dosso l’ortottero e reso innocuo il Di Batosta, soffia adesso con forza mai vista nel magico piffero, per giunta amplificato dalla stampa amica. Il crollo astrale è stato talmente imponente, dal 2018 a oggi, che sarà sufficiente al vostro un minimo contenimento dell’annunciata catastrofe perché egli possa cantar vittoria e aprire le porte del Parlamento (già «scatoletta di tonno») a un pur smagrito plotone di navigatori astrali. Al quale non difetteranno peraltro gli sguardi desiderosi e ammiccanti dei tanti orfani piddini del mai nato campo largo, mutatosi ben presto in un litigioso Letta a quattro o cinque piazze. 

Uno spazio per il terzo e quarto polo dunque c’è. Chi non riesce a vederlo, è solo perché ancora non esistono occhiali per occhi di tigre. 

Si tratta certo di piccole formazioni, che non possono realisticamente ambire a inimmaginabili maggioranze assolute, ma è proprio la loro leggerezza a renderli più agili e svelti: è quando la strada si intorce e s’inerpica che la motocicletta può aver la meglio su mezzi più potenti, ma grossi e ingombranti. Le due ruote, oltre ciò, non possono aver a bordo più di un passeggero, oltre al guidatore. Anziché turbe vocianti di aspiranti assi del volante. E la visibilità della strada è decisamente migliore. 

A differenza dello sferragliante convoglio piddino, che ha come unico programma quello di impedire – o quantomeno rallentare – l’avanzata della diretta avversaria, il motociclo calendosaudita si propone di dare continuità al metodo Draghi che, come Costituzione impone (imporrebbe), traccia una linea invalicabile tra istituzioni e politica. Le prime (Parlamento, Governo, Magistratura) dedite all’esercizio del potere e al reciproco controllo; la seconda (partiti, associazioni, sindacati, movimenti, stampa, opinione pubblica) privata di ogni usurpato potere ed impegnata a elaborare idee e proposte sulle quali misurarsi e confrontarsi sia fra di esse che col potere costituito.

Anche il veicolo feudale ha un suo programma, costruito a immagine e somiglianza del web, il mondo virtuale dove tutto è gratis: dai film alla musica, dai giornali al telefono, dalla libreria al pornoshow. Un mondo dove niente si paga e tutto spetta a tutti di diritto, per solo fatto di esistere (o credere di esistere): un mondo abitato di persone tacitamente autorizzate a far ciò che vogliono, che si mantengono in vita non lavorando, ma «cittadinando». Persone derubate del loro futuro e dunque destinate ad accumulare odio, insoddisfazione e rancore: il solo carburante di ogni forza politica che ambisca a conquistare le masse.  

Due progetti politici assai differenti, quelli del mancato inquilino del Campidoglio e del Conte in cerca di contea. Ma pur sempre progetti. E in quanto tali sicuramente più attraenti, nella loro infantile ingenuità, della trincea senza speranza («s» minuscola) del partito del meno peggio: del «votate noi, se no vincono loro».

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