I cinquestelle, degradati a tre stelle e già in odor di bed&breakfast, sventolano le loro bisunte bandierine: più reddito di cittadinanza (= la paghetta di babbo), più superbonus (= costoso regalo a faccendieri, intrallazzoni e abusivi), più spazzatura a Roma (guai a incenerirla, guai a rimuoverla, guai ad affamare i cinghiali).
Il piddì, improvvido alleato dei due separati in casa, mentre si tiene ben stretti i due stelle di Due Maio, strizza l’occhio ai restanti tre stelle promuovendo la libertà di cannabis, in un Paese dove neppure esiste la libertà di tabacco e di alcol, monopolio esclusivo dello Stato.
Omaggiati gli alleati della stupefacente bandierina, il piddì sventola infine per sé l'arma finale del rispolverato vessillo dello ius scholae, già ius soli e conclamata sòla. Prima necessità del Paese, a detta di Letta. Di un'Italia sull’orlo di una guerra, minacciata da crescente inflazione e impegnata in decisive riforme da cui dipende l’erogazione dei fondi del PNRR, dunque la sopravvivenza stessa della Nazione.
Ai leghisti, mai così slegati, incapaci di qualsiasi costruzione politica che vada oltre lo sventolamento di simboli religiosi e l’adorazione di Putin, non è sembrato vero potersi avventare come cani affamati su due bocconi facilmente azzannabili come cannabis e ius sòlae, tanto appetitosi quanto esplosivi.
Pare che non sia più di moda costruire strade, aeroporti e ferrovie, stimolare l’impresa, tirare a specchio le città per renderle attrattive, estendere la rete web a quella mezza Italia che ancora non ce l’ha, prendersi cura del territorio e del paesaggio.
No. Troppo democratico. Troppo sbilanciato verso la maggioranza della popolazione. Più facile (e gratuito) accattivarsi le minoranze: siano esse quel 5% di poveri (evidentemente meno poveri di quelli americani o tedeschi o britannici, che vediamo strisciare per strada col barattolo per le elemosine), o quel 3% di gender fluid, o quell’1% di figli di immigrati irregolari da premiare con la cittadinanza anticipata. Persone già ampiamente tutelate in Italia, ma che il piddì vorrebbe trasformare in privilegiati.
Dal sito ufficiale del Ministero dell’Interno prendiamo visione delle condizioni attraverso le quali è oggi possibile ottenere la cittadinanza italiana.
«La cittadinanza italiana si acquista iure sanguinis, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani. Esiste una possibilità residuale di acquisto iure soli, se si nasce sul territorio italiano da genitori apolidi o se i genitori sono ignoti o non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di provenienza. La cittadinanza può essere richiesta anche dagli stranieri che risiedono in Italia da almeno dieci anni e sono in possesso di determinati requisiti. In particolare il richiedente deve dimostrare di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere precedenti penali, di non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica. Si può diventare cittadini italiani anche per matrimonio».
Già oggi, dunque, non è indispensabile esser nati da cittadini italiani, per esser riconosciuti tali. Un bambino nato in Italia da genitori ignoti è un cittadino italiano, così come possono esserlo gli stranieri residenti da almeno dieci anni che lavorino e non infrangano la legge.
Quel che lo ius scholae si propone è di estendere il diritto di cittadinanza ai figli di stranieri che abbiano completato un ciclo scolastico di 5 anni.
La matematica ci insegna che il periodo minimo necessario per completare il ciclo di istruzione primaria (accedendovi all’età di 6 anni) è di 11 anni. Ergo già sussisterebbe il requisito dei dieci anni di permanenza in Italia, così come quello della sussistenza (mantenimento da parte dei genitori) e della fedina penale pulita. Mancherebbe soltanto il requisito della maggiore età (abbassata in Italia a 18 anni), necessaria per richiedere la cittadinanza.
Si tratterebbe dunque di ridurre tale limite ai 17 anni, o meno.
Le domande che ci facciamo – o meglio: facciamo al piddì – sono due.
1) Se quel bimbo di 11 anni NON ha la cittadinanza italiana, significa che neanche uno dei genitori la possiede. O perché non ne ha i requisiti o per non averne fatto richiesta. Dunque perché mai chi è figlio di NON cittadini, perché non interessati a diventarlo o non in regola con la legge, dovrebbe poter diventare cittadino prima dei 18 anni, senza aver avuto modo di dimostrare la propria capacità di sussistenza e l’osservanza della legge?
2) La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sull’art. 3 (uguaglianza riservata ai soli cittadini) e il possibile contrasto con l’art. 2 (diritti inviolabili dell’uomo e «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale») ha esteso il principio egalitario di cui all’art. 3 a tutti gli stranieri presenti sul territorio italiano (sent. 199/1986). Di conseguenza, TUTTI gli stranieri presenti in Italia, indipendentemente dal possesso o meno della cittadinanza, godono già adesso dei medesimi diritti dei cittadini italiani: dall’assistenza sanitaria all’istruzione gratuita, dall’edilizia popolare alle pensioni sociali.
Tutti i medesimi diritti. Tranne uno: il diritto di voto. Diritto di cui tuttavia, prima dei 18 anni, neppure agli Italiani di nascita è concesso usufruire. Dunque quali vantaggi discenderebbero al bimbo che ottenesse la cittadinanza qualche anno prima del compimento della maggiore età, tali da giustificare una così divisiva battaglia e un simile stravolgimento del nostro ordinamento giuridico?
Fra tutti i partitici pretesti per ciurlare nel manico e perder tempo senza costrutto alcuno, giusto per far maggior cagnara degli avversari e tentar di imporre al mondo la propria esistenza, questo del piddì è il più insensato e pericoloso, inutile al bimbo-cittadino così come alla stragrande maggioranza della popolazione italiana e/o residente in Italia.
Eppure pare che sia questa l'unica battaglia che il piddì si sente di combattere, in questo sconcio scorcio di legislatura: come approvare lo ius sòlae.
Sarebbe bello se, oltre al come, riuscisse a spiegarci anche il perché.
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