Se il denaro servisse a qualcosa, ne avremmo vagoni pieni, costì dove si puote ciò che si vuol. Se evitiamo di averne, è perché sappiamo quanto sia vero il contrario: se ne avessimo, saremmo noi a servire il denaro, non il denaro a servire noi.
Non esiste peggior fame della fame di denaro. La fame di cibo cessa non appena ci si riempie lo stomaco. Della fame di denaro, invece, non ci si sazia mai. Fino a che il denaro non diviene presto, come recitano le Scritture, il nostro vero padrone. Il solo in grado di farci compiere azioni che, per nostro convincimento o per nostra natura, ci guarderemmo altrimenti bene dal fare.
Conosciamo l'umana obiezione: — Noi terrestri dobbiamo pur mangiare tutti i giorni, per campare. Mica possiamo vivere anche noi a scrocco nella vostra nuvolaglia.
Giusto. Tant'è vero che a tal riguardo il nostro Capo ebbe a suo tempo l'avvedutezza di costruirvi intorno un Eden dove cibo, alloggio e climatizzazione erano forniti gratuitamente. Colpa vostra se oggi, per mangiare, dovete lavorare col sudore della fronte (quella vostra o quella altrui, come han ben presto imparato i più furbi tra voi).
Ciò nonostante, per un uomo degno del nome il denaro non è e non dovrà mai essere un problema. Se ne ha, lo spende. Se non ne ha, lo guadagna. Povero è chi non sa fare nessuna di queste due cose: se è vero che chi ne ha assai e non se lo spende vive altrettanto miseramente di chi non ne possiede e non ne guadagna.
Kirill appartiene alla prima razza: casse piene di trenta, trecento e trentamila denari, ma senza una vita che gli consenta di goderseli, costretto com'è a servire più padroni di Arlecchino (dal quale, tra l'altro, pare abbia copiato il costume).
Scusate se quassù, dove dignità vuole che non ci si possa abbassare a indirizzare al patriarca un sonoro pernacchio, ci siam ritrovati costretti ad affidare il lavoro all'acqua santa.
Capace, peraltro, di ripulire nefandezze ancor peggiori di costui.
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