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Sparare o sparire?


Sparare o sparire? Spariamo!

Neppure la lingua di Dante, che pure ha posto in versi le amene nuvolette sulle quali viviamo, può evitare l'ambiguità della risposta. Forse perché una vera risposta non esiste.

Esiste tuttavia la domanda. Che è poi il medesimo dilemma dei due contendenti in guerra. 

Se non spara, rischia di sparire l'Ucraina: una nazione che ha visto riconosciuta la propria indipendenza quale meritato compenso per aver rinunciato al proprio arsenale nucleare: il terzo al mondo. Ma è stato proprio questo volontario disarmo a suscitare gli incomprensibili appetiti del vicino di casa, il più vasto Paese sul pianeta, che certo di tutto ha bisogno tranne che di nuove terre. 

Se non spara, rischia di sparire la Russia: ieri grande potenza mondiale e oggi impoverita da decenni di malgoverno di una mafia al potere che altro non ha saputo fare se non impadronirsi delle risorse dello Stato per andarsele poi a spendere nei paradisi delle vacanze in Asia, in America, in Europa. Figli scapestrati di un ricco papà che vedono ogni giorno assottigliarsi l'avito patrimonio senza alcuna capacità non solo di incrementarlo, ma neppure di amministrarlo. Vittime rancorose di se stessi, a caccia di inesistenti colpevoli dell'incombente miseria. 

Così, mentre l'Ucraina ha ben chiaro chi sia il suo nemico (quello che, a rate, prima in Crimea, poi nel Donbass, poi in tutto il Paese, bombarda scuole e ospedali, distrugge e uccide), non è altrettanto chiaro quale sia il vero nemico della Russia, se non i Russi stessi. Se è vero infatti che gli Ucraini, sparando, perseguono la pacifica sopravvivenza di se stessi e del loro Paese, se non addirittura la riconquista della sottratta Crimea, non si capisce quali vantaggi possa sperare di ottenere la Russia, se e quando dovesse impadronirsi – a caro prezzo –  di un'Ucraina rasa al suolo e abitata da una popolazione resa definitivamente ostile. Il solo possibile vantaggio di una simile conquista sarebbe il controllo totale del Mare di Azov, e dunque la possibilità di allestire quella flotta navale che la Russia non ha mai avuto. Una vittoria che porrebbe forse fine a una piccola guerra, ponendo tuttavia le premesse per nuovi e più vasti conflitti. 

Ed è questo quel che più preoccupa il mondo. 

Se quello stesso Occidente che voltò la testa dall'altra parte, quando nel 2014 la Russia si impadronì vigliaccamente della Crimea con forze mercenarie prive di insegne o bandiere, ha invece stavolta prontamente rizzato le orecchie e spalancato gli occhi, è perché appare a chiunque ben chiaro che il vero obiettivo di tanto spiegamento di forze non può certo essere la sola debole Ucraina. Come conferma il fatto che la Russia indirizzi quotidianamente all'Occidente dieci minacce per ognuno dei missili che, per puro passatempo, lancia sui bimbi e sulla popolazione ucraina. 

Così, il dilemma tra sparare o sparire è diventato in poche settimane un interrogativo che non riguarda più soltanto la Russia e l'Ucraina, ma l'intero Occidente. Che tanti progetti ha per il proprio futuro, ma non quello di sparire. 

Occorre dunque fermare la Russia. Ma come?

C'è chi si illude di poterlo fare con le sole parole, col dialogo. Come se fosse possibile affrontare a parole una belva feroce il cui unico linguaggio è quello della forza. C'è chi pensa che siano sufficienti le sanzioni economiche, arma possente il cui forte rinculo offende tuttavia anche chi spara il colpo. C'è chi è convinto che sarà infine necessario affrontare la forza con la forza, ma prende tempo per meglio valutare le capacità dell'avversario e intessere nuove alleanze, con l'Ucraina nel ruolo della lepre che il cacciatore dà in pasto al lupo per tenerlo occupato e prender meglio la mira. C'è anche chi spera che il lupo, stremato dalla fatica e dalla fame, crolli prima o poi al suolo senza colpo ferire.

Nessuna di queste opzioni è sufficiente di per sé. Non il solo dialogo, non le sole sanzioni, non la sola forza, non la sola stanchezza dell'avversario. Occorre perseguirle tutte insieme, dosandole con intelligenza e raccogliendo intorno ad esse nuove e più ampie alleanze. Un risoluto impegno che sia al medesimo tempo diplomatico, militare, economico, comunicativo, culturale. E un premio finale che giustifica ogni sforzo: la pace.

 

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