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Le leggi di ogni guerra

Viste da quassù, le vostre guerre son veramente cose da poco. Poco più che combattimenti tra galli nell'arena o, nel caso di nazioni particolarmente vigliacche come la Russia in Ucraina, incursioni di volpi nel pollaio. E quel che più ci dispiace, in un Paradiso dove non esiste il denaro, è che neppure possiamo levarci lo sfizio di scommettere!
Ci divertono invece le vostre arrampicate sugli specchi: l'aggressore che si atteggia a vittima e le beghe da asilo Mariuccia: «Io le dita nel naso? Ed Efisio, allora? E Graziella?». Declinate in «E allora gli USA in Iraq? E la NATO in Libia?». Come se i peccati degli altri fossero limiti da eguagliare o superare, anziché errori da non imitare.
Eppure le leggi che governano ogni guerra, dall'età delle pietre e delle clave al tempo dei missili e dei satelliti (e non vogliamo rivelarvi cosa ha in serbo per voi il futuro!), son sempre le medesime. 
Sostanzialmente tre. 
1) Se in tempo di pace vince chi ha ragione, in tempi di guerra ha ragione chi vince. Perché spetterà al vincitore tracciare i nuovi confini e scrivere le nuove regole, senza che gli sconfitti (guai ai vinti!) abbiano più alcuna possibilità di opporsi. Alla lunga le nuove regole diventeranno le sole alle quali appigliarsi, se si vuole vivere in un mondo regolato, anziché sregolato. Se son regole buone, dureranno un po' più a lungo. Se non lo sono, una nuova guerra arriverà presto a sconvolgerle. 
«Il potere politico nasce dalla canna del fucile», scriveva Mao Tse Tung, e aveva tristemente ragione. Anche gli esseri umani nascono tra il piscio, il sangue e la merda. Non si comprende perché le nazioni dovrebbero avere una più dignitosa e luminosa origine. 
2) In guerra non esistono buoni e cattivi (ciascuno di voi, dopotutto, è in varia misura entrambe le cose) ma solo amici e nemici, e un amico cattivissimo sarà sempre da preferire a un nemico buonissimo.
Mentre gli amici solitamente li scegliamo noi, il nemico è assai più spesso lui a sceglierci. E non è detto che l'amico di oggi non sia il nemico di ieri, e viceversa.  
Scoppiata la guerra, non conta più chi ha ragione e chi ha torto (tutti hanno qualche ragione da far valere: anche chi ruba in supermercato, persino chi uccide la moglie): conta solo chi è amico e chi è nemico. E un nemico che abbia ragione è persino più pericoloso di un nemico che stia nel torto. 
Contro il nemico si scatena la propaganda: una narrazione che inevitabilmente falsifica i fatti e generalizza meriti (degli amici) e colpe (dei nemici), in attesa che la vittoria militare le conferisca la dignità di verità storica. 
Ci son voluti cinquant'anni, dalla fine della seconda guerra mondiale, perché i Giapponesi, diventati nella propaganda «musi gialli», tornassero ad esser chiamati Giapponesi, amati e rispettati dagli ex nemici. Ed altrettanti perché gli Italiani chiamassero nuovamente Tedeschi i «crucchi». 
Ce ne vorranno forse duecento perché i Russi ritornino ad esser considerati uomini, anziché schiavi e macellai. 
3) Anche la guerra più lunga e sanguinosa è destinata prima o poi a finire. La fine della guerra si chiama «pace». Non meno di quanto la fine della pace si chiami «guerra». 
Ergo la pace è figlia della guerra, così come la guerra è figlia della pace. Una lunga guerra distrugge il benessere e le ricchezze faticosamente costruite. Una lunga pace, d'altra parte, crea quel benessere e quelle ricchezze che accendono l'invidia dei vicini, insieme a un'illusione di raggiunta stabilità e sicurezza che induce le nazioni al disarmo e al conseguente indebolimento. Quel «rammollimento» di cui il nemico le accusa, per meglio depredarle.

Ciascuna di queste tre leggi ha i suoi inevitabili corollari. 
- Se è vero che la forza è destinata ad aver la meglio sulla ragione, è anche vero che quella delle armi non è l’unica forza. C’è anche quella delle proprie idee: quella che può trasformare in leone l'inerme che resiste ed in verme il cannoniere che sente il peso delle vili ingiustizie commesse.
- Se è vero che in guerra esistono solo amici e nemici, non di meno resta ancora agli uomini la libertà di scegliere a chi donare la propria amicizia, e quindi la possibilità di schierarsi dalla parte del giusto e non del torto. 
- Se è vero che la pace è figlia della guerra, chi ha scelto di sposare la pace deve inevitabilmente accettare di aver per suocera la guerra. E se è vero che nessuno è obbligato ad amare la propria suocera, neppure può tuttavia ignorarla. E se vorrà godersi la pace, dovrà accettare di tenersi in casa anche la guerra. 
Chiusa nelle caserme quanto più possibile, s'intende. Ma pronta ad uscire allo scoperto, se necessario.   

 

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