L’aspetto negativo di tanta meschinità è che l’Italia si conferma ancora una volta partner europeo tra i meno affidabili, quando squilla la campana del dovere.
Quello positivo è l’aver finalmente reso possibile metter su carta, con nomi e cognomi, chi siano oggi in Europa i Cristi, e chi i Barabba.
Tra i Cristi brillano i partiti del nuovo e vecchio centro (Renzi, Calenda e persino Tajani) più alcuni esseri umani inspiegabilmente sopravvissuti al piddì.
Tra i Barabba: i cacasottisti Conte, Salvini e Frate Gianni.
Quanto a Fratitalia e al grosso del piddì, la collocazione è invero più simile all’igienica postura di Ponzio Pilato: zitti zittissimi, in attesa di saltare sul carro del vincitore.
C’è in giro chi confonde la pace con il «lasciatemi in pace». legittima aspirazione che funziona fino a quando non compare all’orizzonte chi quella pace decide invece di rubarsela.
La pace non è un dono del cielo, da proteggere portando il santo in processione e intonando giaculatorie, come chi urla al vento rime di fantasia all’ombra delle bandiere arcobaleno.
Scordando che quell’arcobaleno, per quanto annunci la fine di ogni tempesta, non per ciò dura in eterno. Solo un nuovo temporale potrà ridipingerne i colori nel cielo.
Chi sceglie un amico, lo vorrebbe un po’ più forte di lui, per essergli d’aiuto nelle possibili difficoltà.
Il nemico, invece, lo sceglie un po’ più debole di lui, per meglio averne ragione al momento dello scontro.
Quel che oggi è dato vedere è il Paese più grande del mondo (la Russia) che sceglie per amico il Paese più forte del mondo (gli USA) e per nemici i Paesi più deboli e indifesi al mondo: le scompaginate nazioni europee, i lontani reami di Canada e di Groenlandia, il minuscolo Panama, i trentasei disarmati staterelli del Messico.
L’Italia, esplicitamente minacciata, può continuare a voltarsi dall’altra parte? A far finta di niente? A traccheggiare in attesa di un vincitore a cui asservirsi?
No. È giunto il momento di assumersi in prima persona il compito di difendere la pace e la libertà del proprio Continente.
Tra i cacasottisti che sostengono il contrario, c’è pure chi ha speso il proprio inutile tempo per criticare persino il nome del nascente progetto di difesa europea: «ReArm Europe». Quasi bastasse chiamar «Fuffi» un leone per renderlo più mansueto e domestico.
Riarmo è la definizione più precisa ed esatta. Perché si contrappone a quel disarmo imposto dai Paesi vincitori agli sconfitti coi Trattati di Parigi del 1947. Disarmo totale, nel caso della Germania; parziale, per Italia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Finlandia. Ma pur sempre disarmo.
Oggi, a settantottto anni di distanza, quei necessari provvedimenti non hanno più senso. Ancor meno quando le gravi imminenti minacce provengono da due di quelle nazioni allora vittoriose: USA e Russia.
Cessate le motivazioni del disarmo, e con esse le tutele internazionali che lo resero possibile, agli Stati europei pesantemente minacciati non resta che procedere con la massima necessaria urgenza al proprio riarmo. Un violinista può fare a meno del violino finché non gli viene chiesto di suonare. E uno Stato può fare a meno di un esercito solo finché non gli vien chiesto di difendersi.
Riarmo che non significa, ovviamente, missili, munizioni e cannoni soltanto. Significa anche riattivazione delle fortificazioni costiere, approntamento di rifugi per la popolazione, messa in sicurezza delle linee di comunicazione e degli impianti di approvvigionamento idrico ed energetico, addestramento di nuovo personale militare, tutto ciò che concerne la protezione della nazione. In una parola: la Difesa.
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Per raggiungere quest’obiettivo, l’Europa ha davanti a sé due grandi ostacoli: 1) la pressante urgenza del processo di riarmo; 2) l’assenza di un vera entità statale di dimensione europea che possa efficacemente avviarlo ed infine guidarlo.
Per quanto riguarda il primo punto, molto si sta già facendo: son stati chiamati a raccolta gli Stati membri dell’Unione, son state individuate le risorse di spesa, è stato avviato il dibattito, è stata raggiunta (se non l’unanimità) una solida maggioranza favorevole ad una Difesa comune europea.
Più complesse, ma non irrisolvibili, le difficoltà implicite nel secondo punto. Chi dovrà occuparsi di coordinare la fabbricazione e/o l’acquisto di strutture, equipaggiamenti ed armamenti necessari alla Difesa? Chi sarà a capo della linea di comando autorizzata a rispondere ad eventuali minacce armate?
È del tutto evidente che la forma dell’unione fra Stati, quali sono l’Unione Europea o l’ONU, non può esercitare unitariamente alcun potere legislativo, esecutivo o giudiziario (di cui peraltro non dispone). Dunque neanche quello di dichiarare guerra o difendersene. Potere che nelle singole nazioni compete al capo dello Stato, sia esso un sovrano o un presidente.
Nell’impossibilità di elaborare in breve tempo nuove ed inedite tipologie di rapporto tra Stati che garantiscano massima unità negli intenti e massima rapidità negli interventi, così come dell’impossibilità di costituire in Stato quei 27 membri della già esistente Unione Europea, che neppure son stati finora in grado di darsi una moneta comune e dei confini codivisi, non resta altra strada se non quella di dar vita ad una Quarta Europa (l’Europa della Difesa) che si affianchi alle altre tre già esistenti: l’Unione Europea (l’Europa dell’economia e dei commerci); l’Eurozona (l’Europa dell’Euro); l’Area Schengen (l’Europa delle frontiere esterne).
Così come i Paesi membri di questi tre organismi variano da un’Europa all’altra (non tutti gli Stati dell’Unione adottano l’Euro, e nazioni come la Svizzera o la Norvegia aderiscono all’Area Schengen senza dover necessariamente far parte dell’Unione o dell’Eurozona), nulla vieta che l’Europa della Difesa possa nascere con l’iniziale apporto di quei soli Paesi che liberamente scelgano di farne parte. Anzi: ci sarebbe il vantaggio – così come accade nell’Area Schengen – che altri Paesi estranei alla UE (come il Regno Unito, l’Islanda o la Norvegia) possano decidere di aderirvi.
È in ogni caso indispensabile che la Quarta Europa si dia forma di Stato, non di semplice unione. O la nuova compagine non potrà mai disporre di un’unica catena di comando delle forze impegnate nella comune Difesa.
Non sarà ovviamente necessario, come in altri Stati Federali, delegare sin dall’inizio al governo centrale poteri in materia di economia, sanità, istruzione o quant’altro. Sarà sufficiente delegare in Costituzione i soli poteri concernenti la Difesa. Se il nuovo Stato Federale funzionerà a dovere, altre nazioni chiederanno di farne parte, e la centralizzazione di ulteriori poteri potrebbe esser statuita con opportune riforme costituzionali.
Così che quella Quarta Europa, embrione di un auspicabile Stato Europeo, possa ambire a raccogliere un giorno sotto una medesima bandiera tutti gli Stati oggi membri dell’Unione, dell’Eurozona e dell’Area Schengen, insieme a quegli altri che desiderino entrarne a far parte.
Una nuova grande nazione in grado di far pesare la propria forza non meno della propria Storia. E di consolidare la propria unitaria presenza nella geografia del mondo guadagnandosi da sé quel rispetto e quella sicurezza che certamente merita.
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