Sette anni prima della comparsa della televisione a colori, il prezzo di un giornale quotidiano era di 70 lire. Oggi è di 1,70€. Come dire che una lira del 1970 non valeva più degli attuali 2,4 centesimi di euro. Un disco 45 giri costava l’equivalente di 19€, e un LP – roba per pochi – la bellezza di 72€. E solo per ascoltare tre canzonette selezionate nel juke-box occorrevano i 2,4€ di allora: la preziosa moneta in acmonital da cento lire.
Chi è sopravvissuto alla benzina a 3,6€, quando nessuno faceva il pieno ma si limitava ai 5 o 10 litri a botta, per poi magari allungarli col benzolo od altri frutti dell’inventiva giovanile, non si spaventa di fronte ai 2€ di oggi. E sorride quando vede in televisione quelle stesse persone che sui carburanti ci lucrano innalzare al cielo lacrimosi lamenti in difesa dei «poveri»: impossibilitati a fare il pieno a quell’auto che, se poveri lo fossero per davvero, non dovrebbero e non potrebbero possedere.
Ride poi di gusto nell’osservare quei medesimi difensori della libera pompa elevare grida ancor più alte contro le trivelle, i rigassificatori, le navi cisterna, i termovalorizzatori, i depositi costieri. Quasi che il mondo fosse in qualche modo tenuto a riempire, possibilmente gratis, le cisterne e i serbatoi degli Italiani, evitando per di più di guastare il panorama, senza far troppo rumore e senza sporcare per terra.
Ride ancor di più alla pretesa di costoro d’esser riconosciuti come «progressisti», anziché ruderi di un medioevo nemico d’ogni progresso.
Ma si corica in terra per le risate quando vede scendere in piazza a protestare non gli automobilisti, ma i proprietari e i gestori delle pompe! E i giornali e le tivù titolare l’evento come «sciopero», quando si tratta piuttosto dell’esatto contrario: non di uno sciopero, ma di una serrata.
Il prezzo del carburante in Italia non è al momento, come sostengono gli interessati, «il più alto in Europa». Tralasciando i Paesi scandinavi, dove il diesel sta tra i 2,4 e i 2,5€/l, anche in Svizzera, Germania, Gran Bretagna, Belgio, Francia, Grecia, il pieno costa decisamente più che in Italia.
Ci son due soli modi per far sì che il prezzo del carburante cali: produrlo in proprio o ridurre la quota fiscale, che in Italia pesa tra IVA e accise per oltre il 55% del costo.
Produrlo in proprio, agli Italiani pare brutto. Limitare l’imposizione fiscale rende invece necessario compensare in qualche modo le minori entrate, magari combattendo l’evasione fiscale. Ma anche questo, agli Italiani, pare brutto. Anzi, bruttissimo.
Non resta che pagare. Come è giusto che sia, per chi crede nel libero mercato e ha vissuto epoche in cui il carburante era decisamente più caro. E coglierne gli aspetti positivi: meno traffico sulle strade, minor consumo dell’automobile, riscoperta dei mezzi pubblici, evoluzione di quella mobilità alternativa (Uber, car sharing, motorisciò) che in nome di privilegi e interessi particolari vede ancora l’Italia indietro di decenni rispetto al resto d’Europa.
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