Avrebbe meritato un lungo applauso, se davvero fosse riuscito a eradicare il telefonino dai banchi della nostra scuola pubblica, dove l'attrezzo raccoglie assai più attenzione del professore in cattedra.
Ma così non è stato. Il meritevole immeritorio ha ceduto anch’egli all’italica ipocrisia della minaccia a mano disarmata, dell’obbligatorio ma non troppo, del semaforo quasi rosso o quasi verde, purché mai veramente rosso, mai veramente verde.
Ci aveva già provato nel 2007 un non illustre predecessore, con una direttiva ministeriale che lisciava il pelo agli scolari, strizzava l’occhio ai genitori e scaricava ogni iniziativa sui presidi, finendo col mazzolare unicamente i docenti: soli destinatari di un perentorio divieto all’uso del telefonino, esplicitamente inserito nel contratto nazionale di lavoro.
Quindici anni dopo, una circolare ministeriale sedicente «nuova» di un ministro aspirante «nuovo» non aggiunge una sola virgola al paternalistico contenuto di quell'antico documento. Il quale, pur costretto ad ammettere che «in via preliminare, è del tutto evidente che il divieto di utilizzo del cellulare durante le ore di lezione risponda ad una generale norma di correttezza…», quel divieto si guarda bene dall'imporlo, avvolgendosi nella foglia di fico dell’«autonomia scolastica» per riversare infine su ciascun istituto il compito di «prevedere» (mica irrogare) «adeguate sanzioni […] ivi compresa quella del ritiro temporaneo del telefono cellulare durante le ore di lezione, in caso di uso scorretto dello stesso». Pura crudeltà!
Giusto per lanciare una crocchetta anche ai familiari, e non solo ai ragazzi: «resta fermo che, anche durante lo svolgimento delle attività didattiche, eventuali esigenze di comunicazione tra gli studenti e le famiglie, dettate da ragioni di particolare urgenza o gravità, potranno sempre essere soddisfatte». Come dire: cellulare sul banco, non sia mai che chiamino mamma o papà.
Il telefonino, intanto, negli ultimi quindici anni si è esponenzialmente evoluto in qualcosa di molto più ampio e diverso. A differenza dell’istituzione scolastica.
Nel 2007 fu presentato il primissimo iPhone, lusso per pochi, e gli apparecchi più diffusi erano i Nokia e i Motorola, capaci tutt’al più (ma neanche tutti) di scattare qualche pessima foto ad infima risoluzione e, in presenza di rete, forse, di telefonare. Peraltro a caro prezzo. Tanto che pochi fortunati alunni potevano permettersi di mostrare in classe il prodigioso strumento, e non tutti con in tasca denaro sufficiente per poterne poi far uso.
Oggi, alle soglie del 2023, entrare in aula con un telefonino equivale a quel che sarebbe stato nel 2007 trascinarsi dietro dieci o quindici autocarri con rimorchio contenenti non solo un apparecchio telefonico, ma anche un registratore audio e una telecamera professionali, un impianto musicale hi-fi con tutta la musica mai pubblicata al mondo, una televisione con tutti i film dai fratelli Lumière ad oggi (porno inclusi), un ricevitore radio digitale, un microfono spia, un’emittente radiotelevisiva in grado di trasmettere audio e video in ogni angolo del pianeta, un telefax a colori in altissima risoluzione, una calcolatrice scientifica capace di dar soluzione a qualsiasi problema matematico, una sterminata biblioteca multilingue da cui attingere per il tema di Italiano o qualsiasi traduzione, un locale coi migliori videogiochi, una sala scommesse e un casinò, un palcoscenico dove potersi esibire, un gigantesco centro commerciale dove acquistare qualsiasi merce o servizio, una fiera internazionale dove poterli vendere… E tutto completamente gratis, o a prezzi irrisori: nessun biglietto per il cinema, nessuna spesa per dischi o juke-box, niente pellicola fotografica, telefonate illimitate e giochi senza monetina.
Sarà un caso che in tutte le grandi scuole internazionali, dove le rette oltrepassano i cinquantamila euro annui, introdurre un telefonino in classe è un po' come entrare col cane in chiesa, motivo più che sufficiente per esserne espulsi con disonore?
L’Italia, repubblica pauperocratica fondata sul perdono, resta ovviamente liberissima di accogliere nelle proprie scuole studenti in zoccoli e bermuda con tre telefonini in tasca, e goderseli. Purché non pretenda di spacciare tale concessione per un rivoluzionario provvedimento reso esecutivo da intransigenti quanto inesistenti divieti, e magari vantarsi di aver promosso rigore, serietà e innovazione nella scuola, quando invece si limita a riproporre nei medesimi termini le amenità di una vecchia circolare che sfodera come unica arma «…l’autonomia scolastica, costituzionalmente riconosciuta che, avendo superato l’impostazione esclusivamente centralistica dell’educazione e della formazione del cittadino, consente alla singola istituzione scolastica di concertare, confrontarsi, costruire accordi, creare lo spazio in cui famiglie, studenti, operatori scolastici si ascoltano, assumono impegni e responsabilità, condividono un percorso di crescita umana e civile della persona». E via pipponando, ma guardandosi bene dall’indicare come.
Ancora una volta il minaccioso governo alza grandi latrati al cielo – disturbandolo e disturbandoci – ma evita accuratamente di mordere.
Sarà forse, come alcuni maligni pensano, perché ha probabilmente i denti meglio impegnati altrove?
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