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I no-vax della conoscenza

Esiste una cura contro la stupidità? Contro chi dà del comunista agli anticomunisti di Ventotene? Per difendersi da chi sostiene che i giganti abbiano costruito le piramidi o che la terra sia piatta? Contro chi è convinto che ogni causa dei propri mali stia al di fuori di se stesso e si atteggia a vittima predestinata di chissà quali occulti disegni?

No. Non esiste una cura. Esiste però un vaccino: si chiama «conoscenza» e funziona da millenni. Purché assunto regolarmente sin dalla più tenera età.

Non viene distribuito negli ospedali, ma in apposite strutture chiamate «scuole», dove viene somministrato in dosi personalizzate di informazioni scritte e orali che consentono dapprima di comunicare col mondo attraverso la parola e la scrittura, ed in seguito di comprendere la natura di tutto ciò che esiste, o persino immaginare quel che ancora non esiste. 

Chi rifiuta tale vaccino ha davanti a sé un futuro da schiavo. Schiavo della propria ignoranza, prima ancora che di un padrone. 

La penultima schiavitù conosciuta in Occidente è stata la condizione operaia al tempo dell’ormai defunta Età Industriale, quando la produzione dei beni si trasferì dal laboratorio artigianale ai capannoni della fabbrica, cancellando in un istante conoscenze accumulatesi generazione dopo generazione. 

Frammentare il processo produttivo da insieme di saperi in operazioni elementari rese superflua ogni approfondita conoscenza: non occorrono aule o biblioteche per apprendere come si avvita un bullone o come si leviga il legno. E finì col trasformare in schiavi quei primi operai. 

Un artigiano alle dipendenze, scontento della paga ma padrone delle proprie complesse conoscenze, avrebbe in qualsiasi momento potuto abbandonare il luogo di lavoro ed avviare un’attività in proprio, riacquistando in tal modo la propria libertà. Ciò che non era invece possibile all’avvitabulloni analfabeta, quello che Taylor definì nei suoi scritti «gorilla ammaestrato», strappato alle campagne e di fatto incapace di produrre autonomamente alcunché. Legato per sempre alla fabbrica dalle catene della propria ignoranza. Catene invisibili, ma più forti dell’acciaio.

L’età industriale è da tempo finita in Occidente: in USA negli anni Novanta, in Europa nel Duemila, in Cina si avvia verso una lenta discesa mentre in Africa mostra le prime gemme. Le macchine, ancor più ignoranti degli operai del Ottocento, fanno adesso il lavoro. Ma guidare quelle macchine richiede conoscenza. Tanta conoscenza.

Lo schiavo di ieri, cacciato della fabbrica, resta comunque schiavo. Senza neppure la scusa di un padrone su cui scaricare le colpe della propria schiavitù. Alle origini della quale, oggi come ieri, sta pur sempre l’ignoranza. 

Lo aveva capito Gramsci, quando sosteneva la necessità di istruire le masse, intuendo quale imprescindibile ingrediente di ogni vera libertà fosse la conoscenza: «Non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens». 

* * * * *

In mancanza di un vero padrone da odiare – con nome, cognome e ritratto sul muro – lo schiavo del Terzo Millennio è costretto a inventarsene uno. Talvolta anche più d’uno. Purché non si tratti della propria ignoranza. E quando il nuovo nemico senza volto non può essere indicato con un nome (il deepstate, il mainstream, gli extraterrestri, gli zingari, gli immigrati, i ricchi...) lo si indica con un pronome: «loro».

«Loro» vogliono impadronirsi dei nostri beni e delle nostre menti. «Loro» vogliono farci credere che la Terra sia tonda. «Loro» ci han dato a bere che l’uomo sia sbarcato sulla Luna. «Loro» vorrebbero asservirci inoculando microchip con cui acquisire il controllo delle nostre azioni... 

Quasi che il pieno controllo di sé non fosse invece nelle mani di quegli eterni lagnanti, insoddisfatti dell’intero universo pur di non ammettere d’essere in realtà insoddisfatti della propria stessa esistenza. 

In caccia di nuovi padroni, gli stupidi ne han presto trovato di nuovi. Incapaci di far sentire la propria voce, restano affascinati da chi invece possiede gli strumenti per strillarla al mondo. Quand’anche altro non contenesse che menzogne, turpiloquio, insensatezze, aggressività, insulti...

Il mezzo per amplificare quella voce – strumento mille volte più efficace degli altoparlanti di Hitler o della radio di Mussolini – è il web

Chi controlla la rete non solo è in grado di trasmettere istantaneamente (e gratuitamente) a otto miliardi di persone il proprio veritiero o menzognero messaggio – in parole, in musica o in immagini – ma può anche oscurare in un istante le opposte idee di quanti si illudono di aver trovato nel web un mezzo di libera espressione, quale invece esso non è. Perché, a differenza dell’altoparlante o della radio, pur mettendo in mano a chiunque un microfono, non per questo dà a chi parla la certezza che dall’altra parte vi sia qualcuno per questo disposto ad ascoltare. Ne dà piuttosto l’illusione. 

Nel web, anche il più illuminato dei messaggi si perde in un mare sterminato di vere e false informazioni. In un oceano dove miliardi di messaggi in bottiglia galleggiano senza certezza alcuna di poter giungere a destinazione. Di essere raccolti e letti da qualcuno.

Navigare in quel mare, dove naufragar non è mai dolce, più che mai necessita del vaccino della conoscenza: il solo che consenta di riconoscere gli scogli dagli approdi, le imbarcazioni amiche da quelle nemiche, le sogliole dagli squali. 

Chi non è vaccinato rischia di andare a fondo e, quando si affonda, ogni possibile appiglio può apparire un mezzo di salvezza. Persino la flatulente voce di Trump, gli striduli graffi della Meloni, le scombinate sillabe di un Salvini.

Le teste degli ignoranti sono le scale dei furbi. Per questo non esiste dittatore che non abbia in odio l’istruzione, la conoscenza, l’informazione, i libri, la saggezza, la scuola. Che non si dia da fare per disarmarla, limitarla, sviarla, annacquarla. Affinché, privata di ogni necessario vaccino, la malattia possa finalmente dilagare e trasformarsi in epidemia. E da epidemia, inevitabilmente, in morte. Degli oppressi come degli oppressori. In definitiva, in una delle tante periodiche sconfitte dell’umanità.

Questo, almeno, insegna la Storia. 

Conoscendola. 


 

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