A meno di un mese dall’insediamento del secondo governo Trump, la squadra del presidente somiglia sempre più alla corte di un sultano che non a un governo federale, attento alle necessità dei cinquanta Stati che ne fanno parte.
Con la sola esclusione dei fondamentali ministeri degli Esteri e del Tesoro, affidati ai due soli esemplari di specie umana presenti nella squadra (Marco Rubio e Scott Bessent, ha affidato ogni altro dicastero ad una schiera di burattini pronti a parlare con la sua voce, imitare le sue smorfie ed esporsi al suo posto.
Così ha voluto l’America. Forse conscia del fatto che per scontrarsi contro autentici sultani, come da sempre lo sono Putin, Kim Jong o Xi Jinping, non esista altra salvezza se non quella di contrapporgli un altro monarca assoluto. Possibilmente più forte di loro.
Come sperare altrimenti di vincere, contro uomini in grado di decidere in pochi secondi, quando le procedure democratiche soffrono invece dell’inevitabile lentezza del dibattito e del confronto?
È un vero gabinetto di guerra, quello che si va approntando oggi a Washington. Sei grandi nomi della televisione americana (Fox) al governo, per garantire una narrazione uniforme e allineata, l'annunciato ritiro da ogni conflitto regionale che sottragga fondi e armamenti allo scontro finale, respingimenti di immigrati potenzialmente ostili, ogni potere concentrato nelle mani del presidente.
Come nel Ventennio italiano, la piazza è con lui. Con la debole opposizione degli Stati costieri, da sempre più aperti al confronto.
Trump, tuttavia, cresce anche lì. New York non è più soltanto la capitale del teatro, della televisione e dell’editoria, ma è anche uno dei pochi Stati che contempla l’accoglienza indiscriminata di chiunque, e che negli ultimi anni ha speso gran parte delle proprie risorse nell’assicurare vitto e alloggio a milioni di immigrati irregolari accorsi da ogni angolo dell’America.
La California, capitale del cinema quando la pellicola richiedeva grandi quantità di luce, non è più Hollywood, ma Silicon Valley. Non produce più idee, ma algoritmi: idee preconfezionate. In parte anche da Elon Musk, patron di X e primo consigliere di Trump.
L’America raccontata dalla letteratura, dall’arte e dalle immagini ha lasciato il posto a quella (mai morta) dei cowboys.
Solo apparentemente coraggiosi ed eroici (in realtà capaci soltanto di ubriacarsi, senza la guida un capo che indichi loro un comune nemico, sia esso la minaccia di una tribù indiana o il ranch confinante), i cowboys del terzo millennio han scelto ancora una volta di asservirsi ai voleri di un capo incapace di tutto, se non di combattere. Tronfio, bellicoso ed esuberante quanto basta per accendere entusiasmi e convincerli a mettere in gioco la stessa vita per lui. O meglio: per quella Nazione che egli promette di restituire all’antica grandezza: «Make America Great Again»!
E pazienza se quel roboante proposito risveglia alla mente l’antico sogno di regnare su un ricostituito Impero Romano, o di ridar vita alla Grande Germania.
Così come ogni altro spettacolo, la Storia ama ripetersi.
Ora come farsa, ora come tragedia.
Commenti
Posta un commento