Perseguitato dal politicamente corretto – quello che vorrebbe gli animali in libertà e gli uomini in gabbia, oltre che tutti ugualmente abili, senza straordinarie eccellenze o riprovevoli bassezze; quello incapace di ridere, o almeno di sorridere, davanti ad ogni infantile buffonata – il circo sembra aver ripiegato le tende, magico ricordo di una perduta infanzia.
Ma il circo è più forte degli animi tristi, e ha presto trovato modo di sopravvivere. In altra forma e sotto una nuova cupola. Più esattamente in quelle trasmissioni televisive nate come talk-show, ma andate nel tempo involvendosi in autentici spettacoli circensi.
Cambiano la pista e il tendone, ma non i personaggi che li animano.
Al centro dello spettacolo c’è ancora un sapiente imbonitore, abile nel presentare i personaggi esaltandone qualità e doti, per poi scomparire e lasciare ad essi la scena.
Non possono mancare gli animali feroci, pronti a ruggire e ad agitar gli artigli contro tutto e contro tutti, quasi che il mondo intero non abbia miglior modo di spendere il proprio tempo se non quello di perseguitarli. Dal divano accanto li tiene puntualmente a bada il domatore, pronto a rintuzzare ogni ruggito con la frusta di non meno feroci parole.
A spegner l’incendio e rasserenare gli animi ci pensa il provvidenziale ingresso dei pagliacci, ai quali nessuna di queste trasmissioni potrebbe rinunciare: siano essi comici professionisti o altrettanto scompiscianti sostenitori di scombinate teorie complottiste o fautori del «no-tutto».
Giunge quindi il momento di quello bravo: l’acrobata della parola che con ammirevole abilità da saltimbanco riesce a dimostrare e a convincere. Solo il trapezista, in grado di eseguire simili meravigliose prodezze ma a un livello più alto, seppur più rischioso, può sperare di controbatterlo. E lo fa. Tra gli applausi del pubblico.
È la volta degli animali addestrati. Ciascuno educato dal proprio partito, l’orso si alza sulle zampe, i cavalli corrono disciplinati a coppie, l’elefante fa sfoggio della sua impacciata quanto inutile forza, la scimmia salta qua e là, il pappagallo accenna qualche parola... Nulla che non sia prevedibile, ma è proprio la prevedibilità l’ingrediente più utile per rassicurare il pubblico. Scoprire che ogni animale si comporta secondo le altrui aspettative, conforta chi è ligio obbedire alle proprie giuste o sbagliate convinzioni.
La marcetta dell’orchestra ripulisce le menti e prepara il numero successivo. O meglio: la pubblicità. Quel sorridente personaggio, altrimenti detto «marchettaro», che poco ha da mostrare al pubblico se non il libro appena pubblicato o il film di prossima uscita. Nel circo di un tempo, era il mister muscolo: lo Zampanò che altro non aveva da esibire se non la propria straordinaria forza, sfoggiando una forma perfetta e sollevando impossibili manubri pieni d’aria ma con scritto sopra «1.000 kg».
E quanto a forme, neppure può mancare in tivù una bella presenza femminile, che all’eleganza dell’esercizio retorico unisca il proprio gradevolissimo aspetto. Non diversamente dalla splendida acrobata, succintamente vestita di costume e lustrini, che con larghi e accattivanti sorrisi si arrampica sinuosamente sulla fune, in cima alla quale si esibirà dimenandosi in spettacolari quanto accattivanti pose.
Insieme ai clown, scendono in pista anche i nani: nulla diverte e fa sentir grandi i bambini quanto scoprire che esistono degli adulti più piccoli di loro!
Nel gran finale, animali, acrobati e artisti compiono l’ultimo giro di pista, accompagnati dagli applausi del pubblico e dalla musica trionfale dell’orchestra.
Lo spettacolo è finito e il pubblico va a dormire contento. Cercava piccole e grandi emozioni, e le ha avute. Cercava l’eccezione che interrompesse la quotidiana normalità, e l’ha trovata. Cercava stupore, risate, paure, novità, conferme, e le ha ottenute.
Chi ha detto che il circo è finito? Si è solo spostato di casa. La nostra.
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