L’Europa (o meglio, le Europe), è qualcosa di assolutamente estraneo per un gran numero di elettori, i quali – quand’anche non la considerino un vero e proprio nemico – la vedono come un’inutile spesa e un fastidioso impiccio. Con due guerre alle porte, poi, anche un compromettente impegno ed un evitabile pericolo.
Che c’è di meglio, allora, dell’atteggiarsi ad amabili e innocui bimbi in fasce, e come tali presentarsi al voto? Son sufficienti un breve nomignolo, panni semplici, un tenero sorriso, tanta voglia di giocare e qualche accattivante mossetta. Con tanti amici e parenti lì intorno a sdilinquirsi e ad agitare il sonaglino.
— Per chi voti stavolta?
— Voto Mario, Carlo, Gianni, la portinaia, la parrucchiera, il verduraio... Uno di noi!
E non rischi nulla: un voto inutile, ma proprio per ciò privo di imprevedibili conseguenze: i leader, una volta eletti, se ne staranno a casa impegnati nei fatti loro, e così i loro elettori.
Dopo tutto, cosa chiedono gli Italiani all’Unione? Che se ne stia lì, tra Strasburgo e Bruxelles, e si faccia sentire il meno possibile: sordi se ha qualcosa da chiedere, tollerata se ha qualche regalo da fare.
* * * * *
Sì. Da un punto di vista strettamente pubblicitario, la veste confidenziale del messaggio sembrerebbe un espediente sicuramente efficace: sfruttare come testimonial la forte immagine del leader o di altri personaggi pubblici e tener nascosto il vero volto dei futuri eletti, spesso personaggi discutibili e scomodi, frettolosamente spediti altrove giusto per liberarsene.
Ma la pubblicità, in politica, si chiama «propaganda»: perché non si occupa (o non dovrebbe) di vendere un prodotto, ma di «propagare» tra il maggior numero di potenziali seguaci un’idea.
Avendocela, quell’idea. Una pur minima (e confessabile) idea circa il futuro dell’Unione. Di quell’Europa che troppe tra le compagini in gara vorrebbero al più presto veder ridotta in pezzi.
Se manca l’idea, tutto il castello crolla: non è più il testimonial che affianca e rafforza il partito, ma è il partito che rafforza il testimonial. E tanto peggio per chi ad un volto esterno s’è affidato, e da quel medesimo rischia d’esser scavalcato e travolto.
Ogni elettore, più che intenerirsi davanti all’appello di chi gli chiede d’esser chiamato confidenzialmente per nome, come un vecchio amico, dovrebbe piuttosto interrogarsi: — Davvero sarei disposto ad aprire la porta di casa a costui (o a costei) che si affaccia sulla mia soglia presentandosi come un conoscente di vecchia data, e invece non lo è? Non nasce così ogni domestica truffa, dal mirabolante contratto energetico all’obolo richiesto per una beneficenza inesistente?
Quell’elettore dovrebbe guardarsi allo specchio e domandarsi: — Davvero sarei felice di avere ospite alla mia tavola un personaggio come Mario, Carlo, Gianni, la portinaia, la parrucchiera, il verduraio...? La sua presenza onorerebbe o disonorerebbe la mia casa? Sarei lieto di veder appollaiati sul mio divano quei tristi figuri che già mi infastidiscono quando li occhieggio scompostamente distesi sugli altrui cuscini televisivi, e che adesso vorrebbero familiarmente sedersi alla mia tavola? Davvero sarei così voglioso di intrattenermi dopo il caffè con chi non sa discutere ma solo volgarmente interrompere e insultare, incapace di formulare un pensiero di senso compiuto e piuttosto propenso, come usa adesso in pubblico, all’uso e all’abuso del turpiloquio?
No. La porta resti chiusa, la sedia a tavola vuota e l’indesiderato ospite intrappolato oltre il vetro della tivù. Quella tivù dove nessuno disdegna di osservare in qualche documentario la vita degli animali più insoliti o feroci: le beffe delle scimmie o il bramire degli elefanti; l’orrida bruttezza del rinoceronte o le viscide squame del coccodrillo; l’istintiva tenerezza dei cuccioli o il ruggire delle belve.
Purché se ne restino là dove sono. In quegli ambienti per essi naturali, ma per noi inquietanti e disagevoli.
Teniamo le distanze. Votiamoli a casa loro.
Commenti
Posta un commento