In cauda venenum. Sette pesantissime menzogne in una botta sola: la Magistratura non è uno dei tre poteri dello Stato, pari grado del Parlamento come del Governo, ma una «fazione». Per di più «antagonista», e non da oggi ma «da sempre». Il suo compito istituzionale non è quello di applicare la legge ma di «affossare i governi», e non tutti: solo quelli di «centrodestra». E non talvolta, ma «sempre». Operando in tal modo come una vera e propria forza politica di opposizione: l’«opposizione giudiziaria».
Che i tre poteri dello Stato di tanto in tanto si becchino tra di loro, non solo ci può stare, ma è cosa buona e giusta: trattandosi giustappunto di poteri «separati». Mica di pappa e ciccia. Che poi qualche magistrato nel suo mal operare possa rivelarsi una persona spregevole, ci sta anche quello, se solo si considera quanti loschi figuri occupino indegnamente tanto gli scranni parlamentari che le poltrone ministeriali, senza per ciò costituire un «grande pericolo» per la Nazione. E il fatto che alcuni magistrati possano simpatizzare per la maggioranza ed altri invece antipatizzare, ci sta ugualmente, se è vero che persino alcuni parlamentari e ministri simpatizzano per la Magistratura, ed altri invece antipatizzano. Ma non deve (dovrebbe) mai venir meno il reciproco rispetto fra i tre poteri dello Stato, così immaginati affinché possano bilanciarsi e controllarsi a vicenda, piuttosto che combattersi.
È un’ostilità di vecchia data, quella che i partiti ostentano nei confronti della Magistratura.
Nel ventennio fascista la sofferta indipendenza dei giudici, spesso pagata col sangue, ancorché strenuamente combattuta non fu mai davvero sconfitta. Coi gerarchi costretti ad affiancarle una sorta di organo giudicante parallelo direttamente controllato dal Duce: il «Tribunale speciale per la difesa dello Stato».
Nel dopoguerra democristiano, la Magistratura finì nel mirino di un Partito Comunista allora rivoluzionario, con l’accusa di proteggere i «padroni» e perseguitare oppositori e manifestanti.
Con la svolta di Mani Pulite, che vide dissolversi nel nulla i tradizionali partiti di governo (ma non quel Partito Comunista che da ogni governo era stato tenuto lontano), gli avventurieri che in pochi mesi riuscirono ad occupare le istituzioni, senz’altro merito se non quello di un’ostentata verginità politica presto perduta, non trovarono di meglio che addossare a quei coraggiosi magistrati tutti i mali del Paese, incolpandone insieme l’intera Magistratura. Un ostacolo, per quei neoarricchiti cresciuti nella sostanziale anarchia di una nuova economia immateriale, fatta di radio e televisioni «libere», di moda e di comunicazione, di immagini e parole: la nuova Italia post-industriale che nasceva tra le rovine abbandonate delle grandi fabbriche. Un’economia ancora in gran parte non legificata: straordinario campo da gioco per tanti squattrinati senza scrupoli, ricchi di atavica fame ma disposti a tutto, perché senza nulla da perdere e tutto da vincere.
Per questi senza legge, predatori di denaro pubblico ed evasori fiscali a prescindere, la Magistratura era (ed è) l’incarnazione stessa del naturale nemico.
Una giustizia efficiente poteva forse servire alla vecchia borghesia proprietaria, amante delle regole e con molti beni al sole da vigilare e proteggere, non certo agli spericolati pirati della finanza, nemici giurati d’ogni laccio o lacciuolo. Amanti, come ogni corsaro, dei grandi spazi liberi del mare aperto, piuttosto che delle acque protette e tranquille del porto.
Trent’anni dopo Mani Pulite, quella preconcetta ostilità è ancor viva più che mai. La Magistratura è l’avversario da fermare e disarmare in ogni modo, a costo di imputarle colpe non sue. Come la lentezza dei processi, di cui son piuttosto responsabili il Parlamento – fonte di una legislazione abnorme per quantità e spesso contraddittoria nei contenuti – e il Governo, che tramite il Ministero della Giustizia stabilisce di fatto i tempi dei procedimenti, lesinando su personale e strutture o imponendo penna e calamaio in luogo del mezzo informatico.
Quel che è forse cambiato, tra gli avversari della Magistratura, è il peso degli schieramenti in campo. Lo storico nemico di tutte le toghe, privato del suo leader, non è oggi che un partitino senza voti e senza futuro; una sinistra di pensiero e di progresso non si può dire che esista; una destra autenticamente conservatrice, tampoco. Esiste, al contrario, una destra rivoluzionaria, di ispirazione neofascista, intenta a spianare e a distruggere quei muri che la Costituzione le ha suo tempo provvidenzialmente eretto intorno al fine di contenerla, in cerca di nuovi spazi sui quali costruire il futuristico nuovo. Illudendosi d’esserne capace.
Anche la Magistratura, agli occhi di questi nani sulle palle dei giganti, fa parte di quel muro. Un muro che ci si augura spesso, alto e robusto. Se non si vuole che, dopo aver messo le mani su tanti beni pubblici – dalle spiagge alla tivù di Stato, dagli appalti alla sanità, cresca la voglia di allungarle anche sulla proprietà privata: dai risparmi alle abitazioni, dalle attività economiche al welfare.
Non si spiegherebbe altrimenti un simile attacco a testa bassa, da parte di un ministro, contro una Magistratura mai così tranquilla come adesso.
Una Magistratura che, se avesse voluto per davvero picchiar forte sul Governo, di grasse occasioni non ne ha avute mai così tante, soltanto a mettere in fila le deplorevoli vicende che negli ultimi mesi hanno interessato non pochi parlamentari e ministri. E vicini parenti.
Di fronte a un tanto incomprensibile quanto violento assalto, la vera notizia non è se esista o meno una «minaccia giudiziaria», ma il fatto che un indifendibile Ministro della Difesa non abbia affidato a più bassa manovalanza il compito di far esplodere l’ordigno, ma abbia ritenuto più opportuno strappar la spoletta con le proprie mani.
Difficile credere che una provocazione di simili proporzioni possa nascere soltanto dalla paura. Deve esserci un più ampio disegno. Forse quello di completare l’opera di una riforma costituzionale volta a cancellare ogni separazione tra Governo e Parlamento, e magari fra quelli e la Magistratura, riunendo sotto un unico scettro i tre poteri infine non più separati.
Con buona pace di Montesquieu, e di un sempre più incombente tanfo di tirannia.
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