Vai a sbattere con l’auto dalle gomme lisce e la colpa è di chi te l’ha venduta, che non ha avuto il buon gusto di cambiarle.
Così anche la colpa di chi è visibilmente in affanno per l’incapacità di condurre a buon fine («mettere a terra» nello slang aviatorio di chi si beffa della lingua italiana) gli investimenti del PNRR, è certamente da imputare al precedente governo. Mica a quello attuale, che pure, impettito, va narrando al mondo d’esser mille volte migliore del precedente.
La verità è ovviamente un’altra.
Se compro un’auto usata, per di più dopo aver sconfitto un’agguerrita concorrenza altrettanto interessata ad averla, non posso non conoscerne a fondo i pregi e i difetti, e resto l’unico responsabile dell’eventuale incauto acquisto.
Diverso sarebbe stato il caso se l’avessi ricevuta in eredità, ma l’Italia non è più una monarchia, e il potere non lo si eredita: lo si conquista. E poi lo si amministra. Sapendolo fare.
Va ancora considerato che ogni investimento previsto dal PNNR è già stato esaminato, discusso e messo per iscritto in ogni minimo dettaglio, e il testo è stato approvato dalla Commissione Europea, che lo ha reso di fatto esecutivo.
Il più (trovare i soldi e decidere dove e come impiegarli) è dunque già stato fatto. E non da un uomo solo al comando, ma da una delle più ampie maggioranze che il Parlamento italiano sia mai stato in grado di esprimere. Resterebbe da fare la cosa in apparenza più semplice: spendere quei soldi.
In apparenza. Perché una volta messe le mani sui cordoni della borsa, mille nuove idee su come e con chi spenderli (trad.: spartirseli) nascono nelle teste dei nuovi assi del volante.
Idee che possono così riassumersi:
a) istituzionalmeloniana: seguiamo la linea tracciata e mostriamo al mondo che siamo in grado di utilizzare al meglio quanto ci è stato elargito, chiedendo quelle piccole modifiche che consentano di adeguare ogni importo al differente impatto dell’inflazione. Spenderemo per il Paese e non per noi, è vero, ma ne otterremo certo maggiori benefici in termini di gradimento e popolarità;
b) furbosalvinica: intaschiamo tutto quel che ci riesce di intascare della quota a fondo perduto e rinunciamo alla quota a debito. Dimenticando che si tratta di un impegno debitorio concesso a tassi agevolati, altrimenti inimmaginabili con l’attuale situazione inflattiva;
c) sì uovo oggi, no gallina domani: meglio continuare a rubacchiare qualcosa oggi, dalle concessioni balneari agli appalti truccati, dalla moltiplicazione delle finte aziende pubbliche ai finanziamenti indebiti alitalianstyle, che non avere addosso domani gli occhi di una spietata Commissione Europea, capace di spedire in carcere i propri parlamentari di nulla colpevoli se non di aver ricevuto qualche innocente regalino qatariota…!
La Resistenza dell’Italia nel portare a termine il Piano è sotto gli occhi di tutti gli altri Stati dell’Unione, già di per sé maldisposti dal fatto che l’Italia è (o avrebbe potuto esserlo) di gran lunga la maggior beneficiaria.
Non diversamente la Resilienza: il «mi piego ma non mi spezzo» di un’Italia sempre pronta a finger di piegarsi nel suo arlecchinesco inchino, ma indisposta a spezzare i legami che la mantengono serva di troppi impresentabili padroni.
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