Come si può pensare che un indifendibile blocco navale possa arrestare l’immigrazione clandestina in Italia?
Metter piede su una banchina e varcare la frontiera sono due azioni ben differenti e distinte. Persino chi sbarca da una nave da crociera non può dire d'essere «entrato in Italia». Per farlo dovrà oltrepassare la barriera doganale, mostrando di possedere documenti in regola e dichiarando il motivo e la durata del soggiorno.
Se questo è vero per i porti continentali, figurarsi per quello di Lampedusa, minuscolo isolotto che dista 140 km dall’Africa ma ben 210 dalla Sicilia. Chi attracca a quello scoglio, non è neppure a metà del viaggio. Ciò nonostante, Lampedusa resta l'ambitissima meta di quei fuggiaschi, privi di documenti, che tentano di varcarne clandestinamente i confini. A dispetto di Pantelleria, che dall’Africa dista solo la metà (70 km), ma nessuno se la fila. Forse perché a Lampedusa i controlli in frontiera sono più laschi che a Pantelleria, se non addirittura inesistenti, o perché c'è in loco chi poi provvede al trasbordo dei fuggiaschi verso la lontana Sicilia. Servizio forse non disponibile nella più piccola Pantelleria.
Le norme parlano chiaro. Chi chiede di entrare in Italia non entra affatto «in Europa», come strillano ministri e giornali, desiderosi di scaricare sull’Unione le proprie responsabilità e inadempienze, ma accede allo spazio Schengen, di cui fan parte non tutti gli Stati europei (solo 22 su 27) e 8 nazioni extraeuropee, tra cui Svizzera, Norvegia, Islanda.
Chi intende entrare nell’area Schengen è pertanto tenuto a osservare le norme stabilite nell’art. 5 dell'omonima Convenzione, che richiede al visitatore documenti e visti validi, oltre a una disponibilità economica commisurata alla durata della permanenza. A patto che il soggiorno non vada oltre i tre mesi: durata massima del visto. Per chi desidera invece immigrare nell’area, esiste la consueta procedura consolare, che non richiede l’uso di barconi ma soltanto di carta e penna. Sempre in un qualsiasi Consolato Schengen, senza uscire dal proprio Paese è possibile presentare, per chi ne ha diritto, regolare richiesta di asilo politico ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, che non riguarda tuttavia i profughi di guerra o da calamità naturali, la cui eventuale accoglienza in regime di protezione umanitaria è lasciata alla discrezione di ciascuno Stato membro.
L’Italia, in virtù dell’art. 10 della Costituzione, che al terzo comma impone che «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge» è il solo Paese Schengen – forse l’unico al mondo – tenuto ad accogliere chiunque provenga da uno Stato che non garantisca diritti simili ai suoi. Praticamente tutti, Florida e Texas inclusi. E tanto basta a farne la meta preferita da profughi e fuggiaschi, tra i quali inevitabilmente si mescolano immigranti irregolari, clandestini, trafficanti, criminali in fuga, rendendo assai lunghe e complesse le procedure di controllo.
Il comma 2 dell’art. 5 della Convenzione di Schengen prevede espressamente casi come quello italiano: ogni Stato membro è libero di accogliere chiunque sul proprio suolo, tuttavia il regime di protezione umanitaria non consente al beneficiario di oltrepassare i confini del Paese che l’ha concesso, precisando che «…In tale caso, l’ammissione sarà limitata al territorio della Parte contraente interessata che dovrà avvertirne le altre Parti contraenti».
E qui casca il primo asinello: ossia la sdegnata quanto ingiustificata reazione del governo italiano contro una Francia che rafforza le frontiere da tempo minacciate da migliaia di persone pienamente legittimate a soggiornare in Italia, ma non certo a lasciarla. Contrariamente a quel che le trombe governative quotidianamente squillano, la Francia osserva i trattati sottoscritti. L’Italia no.
Il secondo asinello è il ruolo delle navi gestite da libere associazioni finanziate per lo più dagli Stati del nord Europa, al fine di intercettare all’origine l’emigrazione clandestina nel Mediterraneo e scaricarla sui Paesi costieri. E mica sui più vicini, come Spagna, Tunisia, Grecia, Malta, Cipro, Egitto..., ma sull’Italia. La quale, per merito del citato art. 10, non può di fatto rifiutare nessuno.
Che le navi cosiddette di soccorso giochino sporco, è sotto gli occhi di tutti. I «salvataggi» avvengono praticamente sulle spiagge libiche, non oltre le due o tre miglia dalla costa, al di là delle quali i telefonini cessano di funzionare. Quanto basta per definire «naufraghi» le persone issate a bordo dalle zattere gonfiabili, spesso prive di motore, e fare appello alle norme internazionali sul salvataggio in mare (SOLAS-1914, SAR-1979, UNCLOS-1994). Le quali obbligano chi va per mare a prestare soccorso a chiunque si trovi a bordo di un mezzo impossibilitato a governare, per poi condurlo il più rapidamente possibile in un POS: acronimo che nel testo originale significa «Place Of Safety» («luogo sicuro»), ma surrettiziamente tradotto in Italiano come «porto sicuro».
La differenza non è da poco. E per sanare ogni dubbio – (anche sul concetto di «sicuro», che per alcuni è da intendersi dal punto di vista geografico (la terraferma) e per altri politico (luogo civilizzato) – una risoluzione dell’International Maritime Organization (2004) così lo definisce: «Un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse, e dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata, le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale».
Possibile che lo sperduto e isolato porticciolo di Lampedusa sia in tal senso da preferire ai porti tunisini di Salakta, Djerba, Monastir, meta dal grande turismo internazionale, o dei grandi e attrezzati approdi delle capitali Tunisi e Malta? Forse manca loro il provvidenziale art. 10?
Accusate di essere «taxi del mare», le sedicenti navi di soccorso respingono l'accusa autodefinendosi invece «ambulanze del mare», ammettendo tacitamente in tal modo che, così come accade ad ogni ambulanza, si muovono solo se chiamate. Che poi i «naufraghi» non siano in realtà che fuggiaschi in cerca di un facile passaggio, è cosa facilmente dimostrabile: qualsiasi vero naufrago, nello stesso istante in cui viene issato a bordo, altro non chiede al salvatore che d’esser ricondotto quanto prima a casa. Un qualsiasi fuggiasco, al contrario, è pronto a morire pur di non esservi riportato.
Oltre ciò va ancora osservato che, in ogni caso, come rimarcato dalla citata risoluzione IMO, la condizione di naufrago viene istantaneamente a cessare contestualmente al suo sbarco in banchina, dove «le operazioni di soccorso si considerano concluse».
Le menzogne dei finti salvatori non si possono tuttavia combattere interdicendo illegittimamente l’ingresso alle navi in porto, e neppure impedendo altrettanto illegalmente la discesa di chi sta a bordo, se questa avviene nella zona franca portuale, al di qua della barriera doganale. Se davvero le navi dei furbi non sono gradite, le autorità portuali di Lampedusa si facciano ancora più furbe: aumentino – e non di poco – le tariffe di sbarco, così da coprire almeno le spese del mantenimento dei fuggiaschi che attendono nell'isola i controlli di frontiera. Ma è con la legge, non con i latrati, che un buon governo affronta le difficoltà.
Molte sono le armi che la legge offre, a partire da quelle possibili limitazioni all’art. 10, previste dal medesimo comma, che non richiedono alcuna modifica costituzionale, fino all'estensione dello status di zona franca all'intero territorio di Lampedusa, così da renderlo meno appetibile ai trafficanti.
Nessuno a questo mondo teme la legge più dei fuorilegge. Ma nessun fuorilegge teme le grida, le sfuriate, le minacce, le spacconate. Anzi: è proprio di quelle che si nutre.
Chi sull'inutilità dei blocchi navali ebbe a suo tempo occasione di sbatterci duramente il muso, avrebbe dovuto sin da allora comprenderlo.
A quanto pare, evidentemente, no.
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